EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
Negli ultimi mesi, episodi di violenza tra giovani hanno sconvolto l’opinione pubblica, mettendo a nudo una realtà complessa e dolorosa. Sono storie di ragazzi che, per motivi diversi, sono entrati nel mondo della violenza reale, spegnendo vite e sogni. Non importa se siano rei o vittime: sono giovani che hanno deviato dal percorso che la loro età e i loro sogni avrebbero dovuto tracciare. Ma cosa porta un adolescente a trasformare un coetaneo, un amico, in un ostacolo da eliminare?
Uccidere, un buio che spegne universi
Uccidere significa interrompere un universo di emozioni e speranze, trasformando l’altro in un problema da risolvere. Questo atto di estrema disumanizzazione scaturisce spesso da una percezione distorta: l’altro non è più una persona, ma un ostacolo tra me e il mio "successo". È un meccanismo egoistico, narcisista, che riflette la società attuale. Il sogno personale diventa un assoluto, e tutto ciò che lo ostacola va eliminato, proprio come nei videogiochi.
Il culto del successo a ogni costo
Alla base di questa deriva c’è un corto circuito culturale: la nostra società celebra il successo individuale come valore assoluto, spesso ignorando i costi umani ed emotivi. Giovani cresciuti con l’idea che "tutto è possibile" sviluppano una scarsa tolleranza al rifiuto. Se la fidanzata dice "no", se un amico si oppone, la reazione non è più il dialogo ma l’annientamento, fisico o emotivo. È un problema che va oltre la famiglia e la scuola: è un intero sistema di valori da rivedere.
L’oggettivazione dell’altro
Ciò che sconcerta è la capacità di un giovane di vincere tutte le barriere emotive, psicologiche e culturali che dovrebbero impedirgli di fare del male. L’altro, che fino a poco prima era compagno di giochi e confidenze, diventa un oggetto, un ostacolo da abbattere. È qui che dobbiamo intervenire: insegnare che l’altro è un essere umano, con sogni e desideri, e non una proiezione dei propri fallimenti o insuccessi.
Disumanizzazione e tecnologia
Un ruolo importante in questa dinamica lo giocano anche la tecnologia e i modelli culturali che promuovono. Ragazzi cresciuti con smartphone e tablet spesso non hanno mai sperimentato la frustrazione di un rifiuto. Nei videogiochi, un problema si risolve "eliminandolo", e questa mentalità, trasposta nella realtà, porta a una disumanizzazione progressiva delle relazioni. La tecnologia, se non accompagnata da educazione e confronto, rischia di isolare i giovani e di alimentare comportamenti devianti.
Ricostruire i valori e l’umanità
Invertire questa tendenza non è facile, ma è necessario. La società deve rimettere al centro valori come il rispetto, l’empatia e la capacità di accettare il rifiuto. Serve un’educazione che mostri ai giovani che il "no" è una parte della vita, non un affronto personale. È fondamentale lavorare sulla vicinanza emotiva, sull’esempio positivo e sull’insegnamento del dialogo come strumento per risolvere i conflitti.
La violenza non è mai una risposta, ma il segnale di un disagio più profondo. Per cambiarlo, dobbiamo ripartire dai valori, dalla pazienza e da una nuova umanizzazione delle relazioni. Solo così potremo aiutare i giovani a trasformare il buio in speranza e a riscoprire il valore della vita, propria e altrui.
16 Dicembre 2024 © Redazione PANTAREI Fondazione Premio Antonio Biondi
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