EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Non solo Basiliche

Culti religiosi a Roma

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Dal punto di vista religioso, Roma non è solo la città del Papa, ma ospita anche il più grande luogo di culto islamico in Italia ed in Europa: la Grande Moschea.

Nel Quartiere Parioli, ai piedi di Monte Antenne, ci sta una vasta area dedicata in parte allo sport, con palestre e campi sportivi: qui fu costruita, su progetto dell’architetto italiano Paolo Portoghesi e dell’architetto iracheno Sami Mousawi, la Moschea di Roma, inaugurata il 21 giugno 1995, giorno del solstizio d’estate, alla fine di vent’anni di lavori finanziati dal re Faysal dell’Arabia Saudita, con la prima pietra posata nel 1984 (anno 1362 dell’egira).

I due architetti hanno tentato di realizzare una sintesi tra diverse tradizioni architettoniche e culturali: dalla tipologia persiana alle moschee ottomane, dagli archi intrecciati caratteristici della Spagna medievale alle piccole cupole ispirate al barocco occidentale di Borromini.

Lo scopo della Fondazione del Centro Islamico Culturale a Roma, come disse all’inaugurazione l’allora Ambasciatore del Regno del Marocco Zine El Abidine Sebti, è stato quello di “far conoscere la vera filosofia dell’Islam e la storia della civiltà araba e islamica e ad arricchire il dialogo e l’armonia fra i seguaci della religione musulmana e della religione cristiana”.
Secondo Paolo Portoghesi, una caratteristica essenziale dell’architettura islamica è di aver prodotto linguaggi molto diversi tra di loro, durante la diffusione nei Paesi orientali.

Per questo motivo, il progetto architettonico cerca un incontro con la storia e la tradizione locale, ad esempio attraverso l’utilizzo di materiali che generano colori tipicamente romani, come il travertino e il cotto rosato.

Per lo stesso motivo, l’edificio prende spunto da più di un modello di Moschea: quello “della foresta”, caratteristico del Magreb e della Grande Moschea di Cordova, nella Spagna meridionale; quello della Moschea ottomana, esemplificato dall’architetto turco Sinān ed infine quello della Moschea persiana, caratterizzato dall’alternanza tra grandi corti e spazi aperti.

Gli ampi spazi sono illuminati da grandi fasci di luce che rendono gli ambienti particolarmente suggestivi, sereni e mistici: a differenza dei luoghi di culto occidentali, ha una grande sala per la preghiera che lascia stupefatti per le sue dimensioni.

Colonne a tre steli, che ricordano le oasi orientali, sorreggono l’impianto del soffitto.

Una caratteristica curiosa riguarda il minareto: è l’unico al mondo a non avere altoparlanti per richiamare alle preghiere i fedeli, e la sua altezza è tale da non poter raggiungere o superare quella della cupola della Basilica di San Pietro.

Al suo interno, è presente una grande biblioteca nel Centro Islamico Culturale d’Italia con una raccolta di oltre 10.000 volumi in lingua araba, frutto di donazioni provenienti da vari Paesi del mondo musulmano.
La Moschea, oltre ad essere un punto d’aggregazione e di riferimento in campo religioso, fornisce anche servizi culturali e sociali connessi all’appartenenza alla fede islamica: celebrazione di matrimoni, assistenza per i funerali, convegni e molto altro.

Non tutti sanno che la Moschea di Roma si può visitare, tranne che nel periodo del Ramadan, durante le festività religiose musulmane, durante le festività italiane e, d’abitudine, nel mese di agosto.

L’accesso alla Moschea è consentito solo con abbigliamento rispettoso dei costumi islamici.

E se la Grande Moschea è il punto di riferimento per la comunità musulmana a Roma, per la comunità ebraica abbiamo la Sinagoga, all’interno del ghetto ebraico, nel Rione Sant’Angelo di fronte all’Isola Tiberina.

La Sinagoga, una delle mete turistiche preferite, è principalmente un luogo di preghiera: fu progettata e finita di costruire nel 1904 dagli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, che, volendosi svincolare dai canoni del cattolicesimo, si ispirarono a motivi assiro-babilonesi.

Il progetto prevedeva che il Tempio risultasse visibile da ogni punto panoramico della città.

Il Tempio Maggiore si presenta con un grande edificio di due piani a base quadrata sormontato da una grossa cupola.

Al suo interno, il Tempio Maggiore ospita nei suoi sotterranei il Museo Ebraico di Roma, una vera istituzione culturale da non perdere se si vuole visitare la Roma ebraica.
Il Museo ospita importanti reperti storici, oltre a mostre ed eventi temporanei.

Suddiviso in 8 aree tematiche, il percorso espositivo permette di scoprire:
• la galleria dei marmi antichi, con marmi risalenti al 1500-1800;
• il guardaroba dei tessuti con velluti rinascimentali decorati;
• Roma e i suoi ebrei: “Da Judaei a Giudei”, con lapidi provenienti dalle catacombe e manoscritti del Medioevo;
• la Sala Feste dell’anno, feste della vita, dedicata ai momenti che scandiscono la cultura ebraica;
• i tesori delle Cinque Scole che raccoglie gli oggetti donati dagli ebrei alle sinagoghe;
• vita e sinagoghe nel ghetto, in cui vengono raccontate la vita, la cucina e le architetture tipiche;
• la sala con la proiezione del video “Dall’emancipazione a oggi”;
• la sala dell’ebraismo libico, dedicata all’immigrazione dei profughi ebrei trasferiti a Roma nel 1967.

Oltre al Museo Ebraico, nei sotterranei c’è il Tempio spagnolo, una piccola sinagoga che merita una visita. 

Il ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo: sorse 40 anni dopo quello di Venezia, che è storicamente il primo al mondo.

Ghetto potrebbe derivare dalla parola ebraica “separazione”, ma sembra più possibile che derivi dalla contrada veneziana “gheto” in cui si trovava una fonderia (appunto gheto in veneziano) in cui furono costretti a risiedere gli ebrei veneziani.

Papa Paolo IV lo fece costruire nel 1555 dopo aver revocato, con una Bolla, tutti i diritti concessi agli ebrei romani: la loro era una dura vita, e avevano l’obbligo, oltre che a risiedere solo all’interno del ghetto (diversamente dall’antichità in cui vivevano in particolare nella zona dell’Aventino), dotato di una sola entrata e di una sola uscita, di portare un segno di riconoscimento.
Non potevano inoltre esercitare alcun tipo di commercio se non quello di stracci e vestiti: ecco perché la maggior parte di commercianti di abbigliamento erano ebrei nonché uomini di affari abili nel campo dei prestiti.

Inoltre, non potevano possedere beni immobili, motivo questo che portò pian piano le case del ghetto ad una forma di degrado.

Nel corso della storia, il ghetto fu più volte dismesso, grazie alle dichiarazioni di parità dei diritti tra ebrei e cristiani sia durante il 1700 e sia durante il 1800.

Si trattò però di brevi periodi, ai quali seguirono nuove reclusioni, fino ad arrivare al 1870 quando si aprì la Breccia di Porta Pia terminando in questo modo il potere dei Papi.

Roma fu annessa al Regno d’Italia e questo significò la chiusura definitiva del ghetto ebraico.

Nel 1888 gran parte del quartiere fu ricostruito e molti ebrei, pur non avendo più l’obbligo di residenza, decisero comunque di rimanere all’interno del quartiere.
Le antiche stradine e i vecchi edifici furono demoliti per lasciare il posto a nuove costruzioni nonché a tre nuove vie: Via del Portico d’Ottavia, Via Catalana e Via del Tempio.
Il Portico d’Ottavia, che sorge tra il Tempio Maggiore e il Teatro di Marcello, risale al II secolo a.C. ed è uno dei monumenti di maggior interesse: oggi non ne rimangono che alcuni resti che però sono un’importante testimonianza della Roma antica.

Nel Medioevo furono edificati, sulle rovine del Portico, un grande mercato del pesce con all’interno la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria.

Dal Portico d’Ottavia è possibile accedere direttamente al Teatro Marcello, il “piccolo Colosseo” dal quale si differenzia per le dimensioni ridotte e per la tipologia di struttura semicircolare (il Colosseo è più tondo come i classici anfiteatri).

In Via del Tempio, che è il cuore pulsante del ghetto, è presente una delle scuole primarie ebraiche più importanti della città. Proprio qui è frequente vedere ragazzi e uomini con il tipico copricapo ebraico, chiamato kippah.

Tra le vie più suggestive all’interno del ghetto ci sono Via della Reginella e via di Sant’Ambrogio; possiamo poi vedere la Chiesa di San Gregorio in Divina Pietà, il Ponte dei Quattro Capi che collega il ghetto all’isola Tiberina, la Chiesa di Santa Maria in Campitelli e la Fontana delle Tartarughe.

La Fontana delle Tartarughe è una piccola perla presente nel ghetto ed ha una storia particolare: fu fatta costruire verso la fine del XVI secolo dal Duca Mattei in un solo giorno per far vedere al padre della sua amata, le cui finestre dell’abitazione erano di fronte alla fontana, che tipo di uomo importante fosse.

Le tartarughe furono erette nel 1658 dal Bernini.

Per finire, una nota gaudente: il ghetto è un luogo imperdibile per tutti gli appassionati di enogastronomia, per cui è possibile gustare tutti i sapori della cucina ebraico-romanesca e in particolare piatti della cucina kosher.

Il piatto più famoso forse sono i carciofi alla giudia, una vera prelibatezza che compare obbligatoriamente sulle tavole romane del quartiere ebraico: si tratta dei carciofi cimaroli, tipici della zona, che vengono immersi in acqua e limone, e in seguito fritti.

Ma non solo carciofi: la cucina ebraico-romanesca è un vero tesoro di sapori che unisce culture diverse e ingredienti provenienti da diverse parti del mondo.
Si va quindi dai classici hummus e falafel a base di ceci, legumi e spezie orientali, fino alla concia e ai piatti a base di carne.

La concia è un piatto a base di zucchine romanesche tagliate a striscioline e fritte, poi si mettono in una pirofila e vanno condite con basilico, aglio e aceto.
Un altro grande classico della cucina ebraico-romanesca è il tortino di aliciotti e indivia.

In questo caso, l’indivia è marinata con olio, aglio, cipolla e pepe, in seguito viene alternata con le alici per creare un tortino che va infornato.

Durante lo shabbat invece, il piatto tipico degli ebrei romani è lo stracotto di manzo cucinato con il pomodoro; un piatto tipico del periodo pasquale sono le matzo ball, polpette di pane azzimo in brodo, molto simili ai canederli tirolesi.

Molti ristoranti inoltre servono una grande varietà di fritti, oltre ai carciofi anche il baccalà e i fiori di zucca, senza dimenticare uno dei piatti più antichi e tipici della cucina ebraica: la zuppa di pesce.

E per finire il pasto, non possiamo non assaggiare il dolce tipico ovvero la torta di ricotta e visciole.
Per finire, è obbligatorio ricordare una delle pagine più brutte della storia: ai tempi del nazismo, il 16 ottobre 1943, un migliaio di ebrei furono presi a forza dalle loro case e caricati sui vagoni di un treno diretto ad Auschwitz e dei 1023 deportati solo 16 sopravvissero allo sterminio.

Ecco perché quando si passeggia per le vie del ghetto bisogna ogni tanto osservare per terra: si troveranno numerosi blocchi in cui sono indicati nome e cognome di alcune persone.
Si tratta del progetto “pietre d’inciampo” per ricordare i cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti.

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nella foto la Grande Moschea di Roma


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Ottobre 2024 © Maria Teresa Protto

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