EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Le leggende sul Muro Torto

Le leggende sul Muro Torto

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Il Muro Torto è un antico muro di sostruzione di Roma che dà il nome al Viale del Muro Torto, alle spalle
del Pincio ed al confine con Villa Borghese e costituiva il tratto delle Mura Aureliane compreso tra
Porta Pinciana e Porta Flaminia (quest’ultima ormai scomparsa).

Il Muro venne inglobato nel III sec. nelle Mura Aureliane, che fino alla conquista di Roma da parte
dell’esercito del Regno d’Italia abbracciava l’allora capitale dello Stato Pontificio.
Fu costruito alla fine dell’età repubblicana sulla ripida parete di tufo del Pincio, inclinata
pericolosamente su una curva ad angolo retto del Viale del Muro Torto.

Le pendici del Pincio cominciarono a popolarsi in questo periodo di ville, forse qui c’erano anche
quelle di Scipione Emiliano e di Pompeo, sicuramente quella di Lucullo, costruita subito dopo il trionfo
nel 63 a.C. su Mitridate grazie al ricco bottino ricavato.

Gli Horti Luculliani occupavano le pendici della collina con una serie di terrazze alle quali si accedeva
tramite scale monumentali: la parte più alta, alla quale si perveniva da una scalinata trasversale a due
rampe, si concludeva con una grande esedra, al di sopra della quale vi era un edificio circolare,
identificato come un tempio dedicato alla Fortuna.

La villa doveva ergersi invece in fondo alla via antica, corrispondente a Via dei Condotti, pressappoco
all’altezza di Trinità dei Monti: quando il proprietario divenne Valerio Asiatico, si dice che Messalina
pur di impadronirsene lo costrinse al suicidio.

Dal 46 d.C., la villa entrò a far parte del demanio imperiale.

Della grandiosa villa di Lucullo i pochi resti ancora visibili si trovano nei sotterranei del Convento del
Sacro Cuore e sotto Villa Medici.

Nel II e III secolo gli Horti erano proprietà della Gens Acilia, anche se la loro villa, e quelle più tarde
degli Anicii e dei Pincii (che diedero il nome al colle), dovettero occupare la parte più settentrionale
della collina.

Si dice che anche la famiglia Domitia, a cui apparteneva Nerone, uno degli Imperatori più odiati e
ricordati di tutta la storia, avesse qui una villa, e sia questa sia tutte le altre solitamente erano
circondate da mura di cinta che delimitavano i vasti possedimenti terrieri di queste illustri famiglie
romane.

La sistemazione del Pincio, anticamente chiamato anche Collis Hortulorum, il Colle degli Orti, per il
gran numero di orti e vigne che ospitava, fu compiuta radicalmente nel 1811 da Pio VII, su progetto di
Giuseppe Valadier: gli ampi viali fiancheggiati da pini domestici, palme e querce sempreverdi
divennero ben presto un posto alla moda per passeggiare.

Il vero e proprio Muro si vede un po’ oltre la brusca curva ad angolo retto, a sinistra: il Muro si inclinò
pericolosamente pochi mesi dopo la sua costruzione e fu rinforzato in basso con alti contrafforti alzati
come gigantesche “dita” ad impedirne il crollo; molto probabilmente, questa inclinazione è dovuta ai
resti di una villa preesistente alla costruzione delle Mura Aureliane che appunto oggi costeggiano
l’intero tracciato della via.

Una delle tante leggende vuole che la tomba di Nerone, noto per la sua crudeltà e la sua tirannide,
sorgesse a Piazza del Popolo, ma l’anima del famoso imperatore fosse rimasta intrappolata nelle
mura, tanto da infestare tutta la zona adiacente: nella pianta di Roma del 1593 il Muro veniva indicato
come Sepulcrum Neronis alias Muro Torto.

Se si sale dal Tevere, il Muro Torto mette un po’ paura, anche se è così da oltre 2000 anni… e poi c’è
l’altra leggenda che dice che, essendo protetto da Pietro, finché esiste Roma il Muro non crollerà!
Questa leggenda, legata appunto al primo Papa, narra che in realtà l’inclinazione del Muro sia dovuta
ad un fulmine che lo colpì il giorno della crocifissione di Pietro, che avvenne al Gianicolo, motivo per
cui questa zona di Roma era difesa da Pietro in persona: Procopio ne “La guerra gotica” racconta che
quando vennero dal nord i Visigoti di Alarico, nel 410 d.C., il generale Belisario ordinò ai suoi soldati di
abbattere quel pezzo di muro storto e di ricostruirlo.

Ma dove oggi ci sta la Chiesa di Santa Maria del Popolo, sorgevano le rovine del grande mausoleo dei
Domizi, come già detto la gens di Nerone, e già circolava la leggenda del suo fantasma; non solo, dove
sembrava fosse stato gettato il corpo dell’Imperatore dopo il suicidio, era cresciuto un tetro pioppo sui
cui rami si appollaiavano orribili corvi, ritenuti i demoni che lo tormentavano per i crimini commessi in
vita da Nerone.

I soldati non vollero andare in quel posto maledetto e convinsero Belisario a lasciar perdere i lavori di
sistemazione dicendo che fosse apparso Pietro in persona promettendo che avrebbe provveduto lui
stesso a proteggere quel luogo.

Fatalità, così fu: durante l’assedio, nessun nemico invase da quel punto la città.

I Visigoti entrarono tranquillamente da Porta Salaria, aperta da un traditore, e saccheggiarono Roma.
Da allora, nessuno pensò più a “raddrizzare” il Muro e mai nessuno assaltò in questo tratto la città.
Nel 1099 Papa Pasquale II fece tagliare il pioppo ed esorcizzò tutta la zona per costruire la Chiesa di
Santa Maria, subito ribattezzata dai romani Santa Maria del Popolo in ricordo del pioppo, che, essendo
tradotto dal latino populus, avrebbe dato origine al nome della piazza, cioè Piazza del Popolo.

Nonostante tutto quello che fu fatto per la bonifica della zona, nella Roma pontificia presso il Muro
Torto erano sepolte le “anime perse”: gli assassini, i suicidi, i ladri, i vagabondi, gli uomini di malaffare,
gli attori ma anche le prostitute “a meno che, prima di morire, non avessero preso marito, si fossero
pentite o non si fossero fatte suore”, come Fiammetta Michaelis, per esempio, amante tra i tanti anche
di Cesare Borgia, che condannata a morte, si pentì dei suoi peccati e si confessò, gesto che le permise
di essere poi sepolta in una chiesa…

Qui vorrei fare un piccolo inciso sugli “attori” calcolati come “anime perse”: in greco attore si dice
hypokrités, ovvero ipocrita, inteso come colui che porta una maschera, e pertanto un attore è un
ipocrita perché fa finta di essere qualcuno o qualcosa che in realtà non è; Gesù parlò degli scribi e dei
Farisei come di ipocriti perché nella pratica recitavano la parte dei giusti, o meglio facevano credere
alla gente indossando una maschera che essi erano giusti, quando invece erano pieni di iniquità ed
ingiustizia.

Tornando ai sepolti del Muro Torto, tutti coloro che non si erano pentiti prima di morire non potevano
essere sepolti in terra consacrata e perciò venivano portati in questa zona, di notte e senza corteo,
senza lapide e senza nome.

Non potevano neppure andare nell’aldilà, quindi i loro spiriti vagavano di notte inquieti e rancorosi,
chiamando i disperati che passavano in alto per convincerli a gettarsi dal Muro.

Ma oltre la leggenda, il luogo era spesso scelto dai suicidi ed ancora oggi si vedono le reti messe sul
Muro per evitare gesti insani.

Per questo motivo nel Medioevo si chiamò Muro Malo e tutta la zona intorno, sconsacrata e da evitare,
era la “Contrada del Muro Malo”.

Chi si occupava di seppellire questa gente erano i membri della Veneranda Arciconfraternita di Santa
Maria dell’Orazione e Morte che si riunivano nella Chiesa omonima in Via Giulia 261 (Arco Farnese).

Fu la Confraternita che si occupò della sepoltura di Angelo Targhini e Leonida Montanari, i due
Carbonari che nel 1825 vennero ghigliottinati da Mastro Titta perché condannati, senza prove e senza
difesa, per un omicidio che probabilmente non avevano commesso, motivo per cui si dice che ancora
oggi vadano in giro in cerca di vendetta oppure, secondo altri racconti, con la testa tra le mani dando
consigli ai coraggiosi che riescono a sostenere il loro sguardo, senza scappare di corsa, sui numeri da
giocare al lotto!

Se i ricchi venivano seppelliti nelle cappelle di famiglia, i poveri affidavano le loro spoglie mortali alle
confraternite: alla morte di una persona, il parroco consultava i registri dello “Stato delle Anime” nei
quali erano censiti gli abitanti della parrocchia, i bimbi battezzati, i ragazzi cresimati e gli adulti che
avevano fatto confessione e comunione, ma vedeva anche se erano state fatte annotazioni soprattutto
in merito alla moralità dei parrocchiani.

Nel caso di morte improvvisa, quindi senza confessione ed estrema unzione, se il defunto era stato
vizioso, ladro, vagabondo o prostituta, a discrezione del parroco poteva essere rifiutato il funerale e la
sepoltura in suolo sacro.

Per i nobili o per i personaggi famosi, però, questo non succedeva: Francesco Borromini, per esempio,
morto suicida, fu sepolto nella Chesa di San Giovanni dei Fiorentini.

Invece, le prostitute Annuccia Bianchini e Fillide Melandroni, le “Muse” di Caravaggio che le ritrasse
più volte come Madonne, Maddalene e Giuditte, finirono nel “Campo delle Anime Perse” ai piedi del
Muro Torto.


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Settembre 2024 © Maria Teresa Protto

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