EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
Tempo fa abbiamo parlato di Via Veneto e della Dolce Vita che caratterizzò il periodo degli anni ’50-
’60, passerella di grandi personaggi del jet set internazionale, attori hollywoodiani e artisti del calibro
di Sofia Loren.
Ma passeggiando per Via Veneto, al numero 27, possiamo vedere la Chiesa barocca di Santa Maria
dell’Immacolata Concezione, dove si trova uno dei luoghi più “insoliti” di Roma e poco conosciuti.
La Chiesa fu costruita tra il 1626 e il 1631, per volere di Papa Urbano VIII, in onore di suo fratello
Antonio Barberini che faceva parte dell’ordine dei Cappuccini.
Occorre ricordare che l’ordine nacque nel 1525, quando il frate francescano Matteo da Bascio,
ordinato sacerdote nelle Marche, si convinse che lo stile di vita che conducevano i francescani non era
lo stesso che aveva immaginato San Francesco, e quindi pensò di ritornare allo stile di vita originario in
solitudine e penitenza come appunto praticato dal suo fondatore.
All’inizio ci furono delle contestazioni tant’è che Fra’ Matteo e i suoi compagni dovettero nascondersi
dalle autorità della Chiesa (in quel periodo, con la Riforma Luterana ogni innovazione era mal vista) e
si rifugiarono presso i monaci camaldolesi: successivamente, in segno di gratitudine, adottarono il
cappuccio indossato da quei monaci (marchio dell’eremita nelle Marche) e l’uso di portare la barba.
Da qui, l’origine del nome del loro ordine.
Solo nel 1528 ci fu l’approvazione di Papa Clemente VII, e sia Fra’ Matteo sia tutti quelli che si
sarebbero uniti a lui avrebbero potuto vivere come eremita e andare ovunque predicando ai poveri,
osservando le regole di San Francesco.
Negli anni a seguire, ci furono momenti difficili, durante i quali l’ordine perfezionò alcune sue
caratteristiche iniziali: dovevano tenere sempre voto di povertà, ma visto che erano degli ottimi
predicatori si arrivò ad una “conventualizzazione”, sostenuta anche dalla Santa Sede, intenta a
sopprimere conventi minori o troppo piccoli con la convinzione che fosse più facile controllare realtà
più grandi.
Le loro librerie divennero sempre più grandi fino a diventare delle vere e proprie biblioteche,
necessarie per formare buoni predicatori: per capire quale ruolo abbia avuto l’ordine in questo periodo
basti pensare che il famoso Fra’ Cristoforo, che si oppose a Don Rodrigo ne I Promessi Sposi, fu scelto
da Alessandro Manzoni proprio perché era un Cappuccino!
Ma torniamo alla nostra Chiesa: la struttura architettonica dell’edificio è costituita da una piccola
navata con dieci cappelle laterali (cinque per parte), nelle quali sono conservate importanti reliquie ed
opere d’arte, tra cui un’opera di Guido Reni (l’Arcangelo Michele che caccia Lucifero) e del
Domenichino (San Francesco riceve le stimmate), quindi il corpo di Felice da Cantalice e la tomba di
San Crispino da Viterbo.
Originariamente la Chiesa faceva parte di un complesso che comprendeva anche un campanile ed un
grande convento: entrambi furono abbattuti dopo l’Unità d’Italia, il primo a fine ‘800 per permettere la
costruzione di via Veneto, il secondo negli anni ‘20 per lasciare spazio al nuovo ministero delle
Corporazioni.
Ma ecco il Museo annesso ed una Cripta, che ci trasportano in una atmosfera surreale, dove ci si trova
immersi in una visione unica della morte e della spiritualità…
Cominciamo dal Museo, dove scoprire la lunga storia dell’ordine monastico, la cui prima parte è
dedicata al convento, mentre le due sezioni seguenti illustrano l’ordine dei Cappuccini e la relativa
spiritualità con le immagini e le storie dei santi.
Successivamente, vediamo la parte dove sono esposti gli oggetti e gli indumenti usati nel quotidiano e
nelle liturgie e la quinta sezione è dedicata interamente ad un dipinto da poco restaurato di San
Francesco attribuito, seppur con qualche dubbio, a Caravaggio.
Le ultime due sezioni illustrano l’attività spirituale e culturale dei frati Cappuccini nel Novecento e nel
mondo.
Si consiglia di non passare frettolosamente nel Museo: vedere quanto esposto, oltre che interessante,
è utile per prepararsi a quanto poi si vedrà al termine del percorso espositivo, il luogo più suggestivo
che pone fine alla visita al luogo: la Cripta-Cimitero.
Le scale ci conducono nei sotterranei e all’ingresso della Cripta ci accoglie una scritta memento mori
molto comune in passato, un tema di lunghissima durata e di ascendenza antichissima, che da
sempre vuole porsi come riflessione sulle condizioni precarie e temporanee dell’uomo: “Quello che
voi siete noi eravamo. Quello che noi siamo voi sarete”.
L’intento non è quello di spaventare, ma di esorcizzare la morte fisica: il corpo non è che un
contenitore. Le ossa, semplicemente utilizzate come materiali, servono allora da spunto al visitatore
che, seppure attraverso un linguaggio artistico piuttosto crudo, è obbligato a fare i conti con la morte e
spinto a sperare nella vita eterna della propria anima.
Realizzata attorno alla metà del Settecento, costituisce un’opera d’arte molto caratteristica, un
capolavoro di “architettura macabra” dal gusto propriamente barocco come pochi altri.
Fondamentalmente la cripta si sviluppa sotto forma di un corridoio lungo il quale si trovano cinque
cappelle, decorate con i resti mortali di quasi 4.000 frati vissuti tra il 1500 e il 1800 (le regole dei
Cappuccini vietavano di seppellire all’interno delle chiese e l’arciconfraternita aveva come principale
attività la sepoltura dei morti senza identità, annegati nel Tevere o trovati in campagna), ossa
recuperate, fin oltre la metà dell’800, dal vecchio cimitero dell’Ordine, ubicato nei pressi del Quirinale,
e assemblate fra loro in modo tale da formare motivi geometrici e artistici, un luogo dove la morte si
fonde con l’arte in modo unico ed evocativo.
Camminare lungo i corridoi della cripta è un’esperienza particolare e il singolare uso delle ossa
suggerisce pensieri e osservazioni sulla transitorietà della vita e la vanità delle ricchezze materiali,
dove a ogni passo si può fare un confronto con la propria mortalità e riflettere sulla fugacità della vita
umana.
Tibie, femori e teschi a migliaia che creano strutture architettoniche, cappelle, edicole e tabernacoli
che ospitano scheletri vestiti dal saio dei frati, addirittura la ricostruzione dello scheletro di un
bambino con in mano una bilancia e la falce del mietitore, anch’esse fatte di ossa.
Ogni cappella porta il nome di un osso a testimonianza dell’uso prevalente del tipo di osso usato per le
decorazioni, così abbiamo la Cappella dei Tre Scheletri, la Cappella delle Tibie e dei Femori, la
Cappella dei Bacini, la Cappella dei Teschi e la Cappella della Resurrezione.
Le ossa sono assemblate in modo tale da comporre simboli legati alla morte come clessidre, orologi e
farfalle, mentre dal soffitto pendono lampadari fatti con falangi e coccigi, ma anche nicchie, cuscini,
persino un’acquasantiera e tutti gli elementi dell’arredo.
La scelta di decorare la cripta con le ossa, che potrebbe apparire lugubre e macabra, è in realtà, come
già detto prima, un modo di esorcizzare la morte e sottolineare come il corpo non sia che un
contenitore dell’anima.
Proprio in virtù di questa essenza, una volta che essa l’ha abbandonato il contenitore si può riutilizzare
in altro modo.
Anche qui, in ogni modo, mancando documenti storici, la fantasia sul motivo per cui sorga questa
Cripta si è scatenata: c’è chi narra che, durante gli anni del Terrore, in Francia alcuni Cappuccini, per
non rinnegare la loro fede e salvare la testa dalla ghigliottina, si siano rifugiati a Roma.
Essendo sconosciuto l’autore o gli autori delle opere, si avanza più di una ipotesi: che sia opera di un
“genio eremitico grottesco” o di “pazienza di frate” o, ancora, opera di un uomo di “fede ardentissima
che quasi con la morte scherza” pensando alla Resurrezione.
Il Marchese De Sade scrive che “un sacerdote tedesco di questa casa ha eseguito un monumento
funebre degno di un ingegno inglese”, e continua così: “In ciascuna di queste piccole camere sono
distribuite, come pietre in un orto, le diverse tombe di questi religiosi, ai quali tuttavia la vista della
morte che li circonda dappertutto non impedisce di essere allegri come nel resto d’Europa!”.
Tradizione vuole che la terra di questo cimitero sia Terra Santa trasportata qui dalla Palestina o
addirittura da Gerusalemme.
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immagine: Cripta dei Cappuccini - Santa Maria dell’Immacolata Concezione
Giugno 2024 © Maria Teresa Protto
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