EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
A pochi passi dal Palazzo di Giustizia, su Lungotevere Prati, tra Via Ulpiano e Via Paolo Mercuri, si nota
un piccolo Duomo come quello di Milano: siamo di fronte alla Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio,
una costruzione neogotica che veramente assomiglia alla cattedrale meneghina in miniatura, con la
facciata bianca e in cemento armato, con le guglie, i portali, il rosone, un vero e proprio tesoro
incastonato tra i palazzi con un esile campanile a pianta ottagonale.
La chiesa fu costruita nel 1893 per volere del missionario del Sacro Cuore di Gesù Victor Jouët che
fondò a Roma l’Associazione del Sacro Cuore del Suffragio delle anime del Purgatorio, prima con
l’oratorio in Via dei Cosmati, poi con il secondo oratorio sul terreno su cui sarebbe stata eretta la
chiesa.
La costruzione vera e propria iniziò nel 1908 dall’ingegnere Giuseppe Gualandi che si ispirò allo stile
architettonico gotico e terminò nel 1917.
Il piccolo Duomo di Milano, come i romani chiamano la chiesa, lascia veramente tutti sorpresi anche
nel suo interno: ci sono tre navate di sei campate ciascuna, coperte con la volta a crociera e separate
da archi a sesto acuto che poggiano su pilastri polistili con capitelli scolpiti e con pilastri e costoloni
delle volte decorati con bande in pietra grigia e mattoncini rossi.
Il pavimento è in marmo rosso di Verona; tra i tanti altari, ce ne è uno dedicato a San Michele
Arcangelo e un altro dedicato a Sant’Antonio da Padova.
Situato a ridosso della parete di controfacciata, ci sta un bellissimo organo a canne.
Infine, da non perdere, nella sagrestia ci sta il Museo delle Anime del Purgatorio, dove sono esposti
documenti e testimonianze dell’esistenza del Purgatorio: impressionante è l’impronta di una mano su
un libro di preghiere, vesti marchiate a fuoco e altre reliquie sovrannaturali.
Siamo ora all’altezza di Piazza Fiume, e lungo le Mura Aureliane si scorge una strana sporgenza:
sembra una piccola Torre ma in realtà era un qualcosa di molto importante per le truppe in servizio di
Porta Salaria.
Si tratta di uno dei cosiddetti “Necessaria”, cioè le latrine pensili, un tempo situate ogni 100 passi
lungo tutto il perimetro delle Mura ed a uso delle sentinelle.
Quella visibile nei pressi di Piazza Fiume, chiamata la latrina di Porta Salaria, è l’unica sopravvissuta
tra tutti i Necessaria dislocati lungo il perimetro murario.
Avete mai sentito parlare del monumento dedicato ai Fornai?
Parliamo del Sepolcro di Eurisace, detto anche “Panarium”, collocato esternamente a Porta Maggiore,
in zona Prenestina-Labicana.
La tomba fu costruita nel I secolo a.C., per il fornaio romano Marco Virgilio Eurisace e sua moglie
Atistia e fu rinvenuta nel 1838 durante la demolizione delle torri difensive costruite da Onorio su Porta
Maggiore per volere di Papa Gregorio XVI.
Marco Virgilio Eurisace era uno schiavo poi divenuto liberto, e sembra che proprio attraverso il suo
lavoro come fornaio riuscì a rivendicare la sua posizione e ad avere successo, e si può dire che grazie a
lui, alla sua arte ed al suo monumento funebre dedicato al pane, si è inaugurata la lunga tradizione dei
fornai romani.
È un monumento funebre realizzato in travertino, con alcuni elementi tipici di un forno, come sacchi e
bocche di dolia (contenitori, da dolium in latino) e ad un attento osservatore somiglia proprio ai
recipienti in cui veniva impastata la farina.
Su di esso ci sta una epigrafe in latino che dice: “Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio Eurisace,
fornaio, appaltatore, apparitore” e inoltre c’era l’urna a forma di madia che conteneva le ceneri della
moglie Atistia.
Nel fregio che circonda la tomba sono rappresentate tutte le fasi della panificazione, dalla pesatura e
molitura del grano alla setacciatura della farina, dalla preparazione dell’impasto alla pezzatura e il
momento di infornare.
Sul lato orientale del sepolcro si trovava il rilievo con i due coniugi.
Oggi il monumento funebre è visibile nella Sala Colonne della Centrale Montemartini.
Chi a Roma non conosce i sampietrini (o sanpietrini)?
Sarebbe quel blocchetto di leucitite utilizzato per la realizzazione del lastricato stradale di uso
comune nel centro storico di Roma e in Piazza San Pietro.
Ne esistono di diversi tipi e dimensioni: dai più grandi (12×12×18 centimetri) ai più comuni
(12×12×6 centimetri) ai più piccoli (6×6 centimetri), quest’ultimi molto rari ma che si trovano in alcuni
dei luoghi storici di Roma, come in Piazza Navona.
Il sampietrino è utilizzato prevalentemente nell’Italia Centrale, mentre nel Nord ce ne è uno simile in
porfido chiamato bolognino in quanto utilizzato anticamente per la pavimentazione delle strade di
Bologna che servì come modello per quelle città o paesi che, lontani dai corsi d’acqua, non potevano
usufruire dei ciottoli.
Accostando più blocchetti si ottiene una pavimentazione su superfici molto ampie che prende
appunto il nome di sampietrini.
È stato usato per la prima volta sotto il pontificato di Papa Sisto V e da allora fu largamente utilizzato,
specie nel pontificato di Clemente XII, per lastricare tutte le strade principali di Roma poiché la sua
struttura, meglio degli altri lastricati esistenti, facilitava il passaggio dei carri.
La denominazione dell’attuale sampietrino nasce nel 1725: ci fu il prefetto ed economo della Fabbrica
di San Pietro, monsignor Ludovico Sergardi, che, studiando le condizioni in cui si trovava Piazza San
Pietro dopo che la carrozza del Papa quasi si era ribaltata, decise di utilizzare i blocchetti di leucitite,
una roccia eruttiva tipica delle zone vulcaniche laziali, per lastricare la piazza.
Il termine sampietrino corrisponde ad un preciso taglio delle dimensioni inferiori a quelle del
quadruccio.
La caratteristica di questo tipo di pavimentazione è di non essere cementata, ma solo posata e poi
battuta su un letto di sabbia e/o pozzolana: questo le conferisce elasticità e capacità di coesione e
adattamento al fondo stradale.
Ha anche il pregio di "lasciar respirare il terreno" grazie agli spazi tra una piastrella e l’altra (assorbe le
acque meteoriche); inoltre si può adattare molto facilmente all’irregolarità del terreno ed è molto
resistente.
I suoi lati negativi sono che non garantisce un terreno uniforme e, se bagnato, può diventare piuttosto
scivoloso, rendendolo inadatto a velocità sostenute.
Altro aspetto negativo è il fatto di presentare una superficie poco regolare, quindi poco confortevole e
anche rumorosa durante il transito dei mezzi di trasporto.
Ma perché parliamo dei sampietrini di Piazza San Pietro?
Perché, nel Libeccio della Rosa dei Venti, ce ne è uno unico in tutta Roma: è a forma di cuore, ed è
chiamato “Er core de Nerone”, il “Cuore di Nerone”.
Furono dei bambini nel passato a trovare questo piccolo bassorilievo a forma di cuore: le leggende nei
secoli lo hanno battezzato anche “Cuore di Bernini”, come segno di un amore mai trovato, oppure
“Cuore di Michelangelo”, realizzato appunto dall’artista come simbolo in un amore infranto.
Ma c’è ancora un’altra leggenda che riguarda lo speciale bassorilievo: si dice che fu una donna a
realizzarlo in omaggio al marito condannato ingiustamente a morte.
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foto: Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio
Giugno 2024 © Maria Teresa Protto
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