EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Passeggiata per Roma

Curiosando nel passato

Passeggiata per Roma

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Quante volte ci è capitato di avere amici che vengono a Roma e facciamo i Ciceroni per mostrare loro
le meraviglie della nostra città?

Ma una volta fatto il classico giro turistico oppure sapendo che non a tutti può piacere passare ore
immersi nella nostra storia antica, cosa può essere interessante fare in giro per Roma?

Ci sono tanti luoghi “curiosi” a Roma da far conoscere oltre alle solite bellezze artistiche…
La prima e più conosciuta è sicuramente La Bocca della Verità, la cui leggenda narra che potrebbe
mordere la mano di chiunque la inserisca nella sua bocca.

Siamo davanti alla Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, a pochi passi dal Tevere, e nel pronao su una
parete dal 1632 ci sta questo antico mascherone, con un diametro di 1,75 metri, un volto maschile
con la barba, occhi, naso e la bocca forati, sembra sia un Dio, forse Giove Ammone oppure Oceano,
un Dio marino oppure un oracolo o un fauno, ma il fatto che ha tra i capelli due chele di granchio lo
associa sicuramente ad un Dio del Mare.

Nella Roma antica, la Bocca della Verità era un tombino e serviva a far defluire le acque piovane,
tant’è che erano posti come decoro nei punti più bassi delle piazze o delle strade, e visto che l’acqua
piovana veniva “inghiottita” da questi tombini era il modo per farla tornare al Dio del Mare che ne era il
padre.

Nel Medioevo, in una prima guida medievale per pellegrini (Mirabilia Urbis Romae) si parlava già di
questa Bocca capace di pronunciare oracoli; nel XII secolo un testo tedesco narra che da dietro quella
bocca il diavolo, dicendosi Mercurio (protettore dei commerci e anche, fatalità, degli imbrogli),
trattenesse a lungo la mano dell’Imperatore Giuliano (ritenuto il restauratore del paganesimo, anche
se in realtà ne fu solo assertore e seguace) che aveva truffato una donna e che su quell’idolo doveva
giurare la propria buona fede, promettendogli il riscatto dall’umiliazione e grandi fortune se avesse
ripristinato le divinità pagane.

Sempre nel Medioevo, un’altra leggenda dice che fu Virgilio Marone Grammatico, del VI secolo (non il
mantovano Virgilio!) che praticava la magia ed aveva costruito la Bocca della Verità per verificare la
fedeltà o meno dei coniugi.

Anche nei racconti popolari circolava una storia simile: una donna accusata di infedeltà, portata
davanti alla Bocca della Verità, fece finta di svenire e l’amante della donna (che era stato invitato dalla
donna a presentarsi anch’esso lì davanti) la prese tra le sue braccia: subito dopo la donna giurò che
era stata soltanto tra le braccia del marito e dell’uomo che l’aveva appena sorretta!

Fu nel 1485 che la scultura venne chiamata Bocca della Verità e ritenuta tra i monumenti più famosi e
curiosi, tanto da essere inserita nel 1953 in una scena del film Vacanze Romane con Audrey Hepburn
e Gregory Peck.

Un altro film molto più recente, ossia La Grande Bellezza, ci porta in un altro posto magico, l’Aventino,
dove è possibile vedere la cupola della Basilica di San Pietro dal buco di una serratura posta sul
cancello della Villa del Priorato di Malta, su Piazza dei Cavalieri di Malta, una piazza in stile rococò e
decorata sfarzosamente con stemmi e trofei, tutto restaurato nella seconda metà del 1700 ad opera
di Giovanni Battista Piranesi (sua unica opera architettonica).

Ex monastero benedettino fortificato, fu fondato nel 939 sull’ansa del Tevere, posizione strategica,
per passare ai Templari nel XII secolo e poi tornare a Clemente V e poi a Papa Paolo II nel 1400 che lo
diede al Sovrano Militare Ordine di Malta.

In questa serratura senza chiave si vede in una particolare prospettiva la Cupola di San Pietro, in
fondo al viale del giardino, incorniciata da archi di vegetazione che crea un effetto stupefacente.
Da pensare anche che è l’unica serratura al mondo da cui si può vedere un altro Stato, cioè il
Vaticano.

A fianco del Priorato troviamo un altro posto degno di attenzione: il Giardino degli Aranci, conosciuto
anche come Parco Savello, sicuramente uno dei parchi più belli grazie alla sua terrazza panoramica da
cui godere una indimenticabile vista su Roma.

Per secoli, essendo di proprietà della Famiglia Savelli, il Parco è stato inaccessibile, finché fu riaperto
al pubblico nel 1932 grazie all’opera di Raffaele de Vico: ha una struttura perfettamente simmetrica e
al centro ci sta il Viale dedicato all’attore Nino Manfredi che porta alla terrazza panoramica.

Non tutti però sanno che si cela un mistero sotto un albero di arance…
Sembra che nel 1200, San Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine dei domenicani che
risiedevano lì, portò dalla Spagna un albero di arance amare che fu piantato nell’allora orto in cui
lavoravano i frati.

In seguito, su questo albero ne crebbe un altro che ancora oggi continua a donare i suoi frutti: per
vederlo, essendo situato nel chiostro della Chiesa di Santa Sabina, a fianco del parco, bisogna
guardare nella fessura che si trova su uno dei muri della navata della chiesa.

Su Via del Babbuino, ci sta una fontana che si dice essere la più brutta fontana di Roma: fu costruita
nel 1571 da un commerciante di Ferrara, Alessandro Grandi, che volle realizzare una fontana ad uso
pubblico a sue spese.

La statua di un sileno (personaggio mitologico) a grandezza naturale era di marmo, con una fisionomia
talmente brutta da essere nominata “er Babuino” da cui prese il nome tutta la via.

Divenne famosa per via del cardinale Dezza, che tutte le volte che passava di lì si toglieva il cappello
davanti alla statua per via, si dice, della sua miopia che gli aveva fatto scambiare la statua per quella
di un santo.

Tra Via della Gatta e Piazza Grazioli, esattamente sul cornicione di Palazzo Grazioli, si trova una
piccola gatta a grandezza naturale di marmo, forse proveniente dal vicino Iseo Campense: infatti, il
gatto era un animale sacro a Iside che, pur essendo una divinità egiziana, veniva venerata anche a
Roma.

Era parte delle tante decorazioni dell’antico Tempio di Iside e Serapide, da cui, nel corso dei secoli,
vennero prelevati vari reperti, tra cui statue, obelischi e frammenti di ogni tipo, come la statua di
Madama Lucrezia in Piazza San Marco oppure la statua del Piè di Marmo a Via Santo Stefano del
Cacco.

Quando fu costruita la facciata posteriore del palazzo, fu deciso di collocare la gatta di marmo sul
primo cornicione: tante sono le storie che si raccontano sul motivo per cui fu scelta la gatta.

Alcuni dicono che una gatta della zona una notte avesse visto lì svilupparsi un incendio e cominciò a
miagolare così forte da svegliare tutto il vicinato, salvando le case e le vite degli abitanti.

Altri dicono che invece ci fu una bambina che stava per cadere dal cornicione: una gatta miagolò così
tanto da far accorrere la madre ed evitare una tragedia.

L’ultima, forse la più incredibile, leggenda vuole che la gatta punterebbe il suo sguardo proprio in
direzione del luogo in cui si nasconderebbe un tesoro; tanti hanno provato a cercarlo, ma non si sa se
sia ancora nascosto oppure sia stato trovato e sfruttato senza che nessuno lo abbia mai saputo.

A due passi da Via della Gatta, esattamente a Palazzo Venezia, uno degli edifici rinascimentali di
Roma (sembra opera di Leon Battista Alberti e Francesco Del Borgo), si trova il cosiddetto “Giardino
ritrovato”, un’oasi di pace e tranquillità nel cuore di Roma, poco conosciuto perché collocato al suo
interno.

Palazzo Venezia fu costruito nel 400 insieme all’edificio che doveva ospitare il Papa, divenendo
residenza pontificia quando vi alloggiò il primo papa che fu Papa Paolo II (ovvero cardinale Pietro
Barbo).

Nel 500 il Palazzo passò nelle mani della Repubblica di Venezia e poi, nel 700, passò agli Austriaci fino
al Novecento quando arrivò allo Stato italiano: nel ventennio fascista, divenne sede governativa e dal
dopoguerra ad oggi è diventato un luogo di cultura a arte.

Ultimamente, grazie ad un investimento di sei milioni di euro, il giardino ha subìto dei cambiamenti tali
da renderlo accessibile a tutti e gratuitamente (da qui il nome appunto di “Giardino ritrovato”).

Una passeggiata su Via Nomentana ci porta a Villa Torlonia, al cui interno si trova un edificio che
sembra uscito da un libro di fiabe: è la Casina delle Civette, villa e abitazione del Principe Giovanni
Torlonia junior (fino alla sua morte avvenuta nel 1938) ora trasformata in museo.

Ideata nel 1840 da Giuseppe Jappelli su incarico di Alessandro Torlonia, nel tempo subì parecchie
modifiche molte delle quali in stile Liberty fino al primo decennio del 1900: ricca di torrette, di
porticati, di torri, bow-window, maioliche, stucchi e vetrate policrome la rendono una casa fiabesca.
Nell’800 era chiamata la Capanna Svizzera per l’aspetto rustico tipico di uno chalet svizzero; nel 1908
fu trasformata in “Villaggio medievale” su commissione del nipote di Alessandro, appunto Giovanni
Torlonia Junior, che affidò i lavori a Enrico Gennari: fu allora che vennero aggiunte finestre, loggette,
porticati, torrette con decorazioni a maioliche e vetrate colorate, poi nel 1916 furono inserite 2 vetrate
con raffigurate civette stilizzate e poi altre decorazioni a forma di civetta sia all’interno sia all’esterno
della struttura, motivo per cui fu rinominata in questo modo.

Successivamente, nel 1917, furono inserite le tegole in cotto smaltato dei tetti in stile Liberty ad opera
di Vincenzo Fasolo.

Durante la II Guerra Mondiale la Casina fu occupata dalle truppe anglo-americane e venne
semidistrutta, poi venne acquistata dal Comune di Roma nel 1978; nel 1991 ci fu un incendio a cui
seguirono furti e vandalismi, finché dal 1992 e fino al 1997 la Casina fu oggetto di restauro che l’ha
portata all’aspetto attuale.

Per ultimo, se vi capita il 21 aprile di stare a Roma, fatevi trovare alle 12 al Pantheon…
L’Imperatore Augusto incaricò il genero Marco Vipsanio Agrippa di costruire un tempio dedicato a tutte
le divinità pagane, e nel 27 a.C. fu inaugurato il Pantheon; Adriano poi lo fece ricostruire all’incirca
come lo vediamo oggi, tra il 120 e il 124 d.C., e tra quanto ricostruito vediamo l’oculo della cupola e la
porta d’ingresso di bronzo.

La cupola è stata progettata per scandire le stagioni attraverso la luce: i raggi del sole che filtrano
attraverso l’oculo in determinati giorni e in determinate ore vanno a colpire le edicole e le esedre del
tempio, caratteristica che ha un significato ben preciso in termini archeologici e astronomici.

Il 21 aprile è il giorno in cui il fascio di luce va a colpire la porta di bronzo il cui effetto scenografico fu
volutamente architettato per la gloria di Augusto: sembra che l’Imperatore facesse ingresso al
Pantheon proprio a mezzogiorno, nel giorno dedicato alle celebrazioni del compleanno di Roma,
godendo dell’illuminazione del naturale “occhio di bue”, perché i raggi riflettendosi sulla porta di
bronzo illuminavano la figura creando un effetto teatrale impensabile per l’epoca.

Volete provare anche voi?


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Aprile 2024 © Maria Teresa Protto

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