EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
Parlare del più importante poeta, scrittore e insigne drammaturgo inglese di tutti i tempi, di cui il 23
aprile (o il 26, non è certa la data) ricorre la nascita, per me non è un caso.
Da più di un anno mi sto dedicando ad un corso di teatro, presso la Readarto Officine Artistiche,
fondata da Andrea Bizzarri, autore, regista ed attore, e Alida Sacoor, attrice, ballerina e cantante,
giovanissimi ma che vantano una brillante carriera artistica (in questi giorni in tournee nel nord Italia
con la commedia Mi è scappato il morto).
Andrea Bizzarri ha scritto un’opera, Shake Shakespeare, che sarà lo spettacolo finale in scena al
Teatro Manfredi di Ostia a giugno e in cui ci cimenteremo tutti noi del corso.
È un’opera divertente, in cui alcuni dei più grandi personaggi shakespeariani, stanchi di vivere sempre
nello stesso modo le vite che l’autore scrisse per loro, si ribellano e decidono di modificare i loro
personaggi…
Questa è la premessa per cui ho pensato di ricordare William Shakespeare, nato nel 1564 a Stratford-
Upon-Avon, detto “il Bardo dell’Avon”, o semplicemente “il Bardo”; le sue opere teatrali lo resero
famoso sia in vita ma ancor più dopo la sua morte, tanto da essere tradotte nelle maggiori lingue del
mondo e inscenate più di qualsiasi altre opere. grande successo.
Eccelse sia nelle tragedie sia nelle commedie, unendo il gusto popolare della sua epoca con una
complessa caratterizzazione dei personaggi, una poetica raffinata e una notevole profondità filosofica.
La sua vita è a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, un periodo in cui si stava realizzando il passaggio dalla
società medievale al mondo moderno, e con la salita al trono d’Inghilterra di Elisabetta I (1558), iniziò
un periodo di fioritura artistica e culturale che da lei prese il nome.
Purtroppo, non ci sono molti documenti riguardo la vita di William Shakespeare: il padre John era un
ricco mercante appartenente alla corporazione dei guantai, fece carriera in politica prima come
connestabile poi come aldermanno, cioè componente della giunta municipale di Stratford, e infine
come balivo, non avendo però mai la possibilità di avere uno stemma se non con il successo del figlio
(1596), finché per problemi finanziari finì la sua carriera politica e dovette vendere alcuni
possedimenti.
William fu il terzo di otto figli, frequentò la scuola locale del paese (gratuita per i maschi) e studiò
latino, retorica, logica e i classici della letteratura, a diciotto anni (1582) sposò Anne Hathaway e dopo
sei mesi nacque la prima figlia Susannah, poi due anni dopo i gemelli, Hamnet, un maschietto, che
purtroppo morì a 11 anni, e Judith, una femminuccia.
Hamnet sembra essere una variante morfologica di Hamlet, e forse è per questo che una delle sue
opere principali è l’Amleto.
Ed ecco il periodo buio in cui si sa poco della sua vita, definito dagli studiosi “the lost years – gli anni
perduti”, tra il 1585 ed il 1592, periodo in cui sono state fatte tante ipotesi e speculazioni, dando luogo
anche a parecchie supposizioni sulla reale esistenza di Shakespeare di cui si parlerà più avanti.
Certo è che nel 1592 Shakespeare era a Londra, come testimonia una lettera in cui un membro degli
University Wits (Ingegni Universitari), Robert Greene, scrisse ad amici di Shakespeare come di un
“corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume… a suo proprio giudizio l’unico Scuoti-scene del paese”.
Nel 1593-1594 ci fu la peste e i teatri vennero chiusi; Shakespeare, in questo periodo, pubblicò due
poemetti, Venere e Adone e Il Ratto di Lucrezia, il primo ebbe molto successo e ne fu fatta un’opera
teatrale e una ristampa nel 1606 The Return from Parnassus (seconda di un ciclo di tre opere teatrali,
Parnassus), e iniziò a scrivere i Sonetti dedicati ad un nobile gentiluomo, suo amico e sostenitore, il
Conte di Southampton.
Finalmente, alla riapertura dei teatri, cominciò a lavorare per la compagnia teatrale più famosa del
tempo, che si esibiva anche a corte, The Lord Chamberlain’s Men, ed è negli anni successivi (1595-96)
che scrisse le sue opere più straordinarie: Sogno di una notte di Mezza Estate, Romeo e Giulietta,
Riccardo III e Il Mercante di Venezia.
Nel 1597 Shakespeare comprò da William Underhill per sessanta sterline una residenza a
Stratford, New Place, composta da "due granai, due giardini, due frutteti, con annessi": questo,
dimostra i notevoli guadagni ottenuti da Shakespeare con l’attività teatrale.
Nel 1599 era diventato uno dei maggiori azionisti e proprietario del Globe Theatre di Londra, e la sua
compagnia teatrale era divenuta così famosa che, alla morte della Regina Elisabetta I nel 1603, il
nuovo Re Giacomo I Stuart la adottò cambiandone il nome in The King’s Men (Gli Uomini del Re).
È il periodo in cui le opere scritte da Shakespeare divennero più cupe, forse per via della morte del
padre o per il fallimento della ribellione di Essex che portò alla condanna a morte del suo patrono,
l’amico Conte di Southampton.
Lavorò per il teatro fino al 1611, anno in cui si ritirò a Stratford-Upon-Avon, dove morì il 23 aprile del
1616, il giorno del suo 52° compleanno, sembra per via di una febbre che aveva contratto avendo
bevuto molto alcol la sera precedente.
Tanto ancora sarebbe da dire sulla vita del “Bardo”, ma uno sguardo alla sua opera non può mancare.
La prima pubblicazione ufficiale di Shakespeare fu il First Folio (1623) contenente 36 delle sue 37
opere, a cura di due attori suoi amici, Henry Condell e John Heminges e che copre il periodo dal 1591
al 1611.
Il titolo è Mr. William Shakespeare’s Comedies, Histories and Tragedies, Published According to the
True Original Copies, non dice la data esatta della composizione delle opere, ma solo la divisione per
genere: commedie, drammi storici e tragedie.
Ci sono quattro fasi di produzione shakespeariana:
• il periodo di apprendistato (anni 90 del 1500): già famoso, scrisse drammi storici facendo un
ritratto della società medievale e rinascimentale inglese, come Riccardo III (1593) e Enrico VI
(1591-92), scrisse commedie d’amore come I due Gentiluomini di Verona (1594-95) e Pene
d’Amor Perdute (1593-96, date incerte), e scrisse due dei suoi capolavori, la tragedia Romeo e
Giulietta (1594-95) e la commedia Sogno di una Notte di Mezza Estate (1595-96). Molte delle
opere di Shakespeare sono ispirate da novelle della letteratura italiana, parlano di matrimonio,
di amore, di scambi di identità e spesso hanno un lieto fine.
• il periodo in cui scrisse drammi storici e commedie d’amore (1596-1600): Shakespeare è ormai
un affermato drammaturgo, scrive di momenti cruciali della storia inglese tra la fine del XIV
secolo e la Guerra delle due Rose e non la storia di un singolo personaggio, e sono di questo
periodo Riccardo II (1595), Enrico IV (1597-98) e Enrico V (1598-99). Inoltre, compose
commedie che si distinguono per l’analisi psicologica dei personaggi più complessa rispetto
alle commedie scritte precedentemente: Il Mercante di Venezia (1596-97), Molto Rumore per
Nulla (1598-99), Come Vi Piace (1598-99) e La Dodicesima Notte (1599-1600).
• il periodo delle grandi tragedie: i temi sono quelli della solitudine dell’uomo nell’universo, il
tragico destino dell’umanità e la follia degli uomini. I protagonisti sono uomini che vivono un
forte conflitto interiore, lacerati tra l’amore e la ragione e l’orgoglio: sono Amleto (1601), Otello
(1604) che ama Desdemona ma crede a Iago che gli narra dei tradimenti della moglie in realtà
innocente, Re Lear (1605-06) che vinto dall’orgoglio bandisce Cordelia, la figlia prediletta,
Macbeth (1605-06), Antonio e Cleopatra (1606-07), con Marco Antonio diviso tra l’amore di
Cleopatra e il senso del dovere nei confronti di Roma.
• il periodo in cui scrisse romances: nel quarto periodo scrive commedie caratterizzate da
un’ambientazione fantastica e fiabesca, come Il Racconto d’Inverno (1610-11), Cimbelino
(1610-11) e La Tempesta (1611-12).
Molte delle opere di William Shakespeare si basano su storie già pubblicate da altri autori, le sue
opere teatrali sono divise in cinque atti di diversa lunghezza e introdotti da un prologo; questa
divisione però fu fatta dagli editori del XVIII secolo in quanto, nell’epoca elisabettiana, il sipario non
calava mai tra un atto e l’altro, con la scena che terminava quando tutti gli attori lasciavano il
palcoscenico.
Non ci stavano le scenografie, erano parole o coro ad avvisare dei cambiamenti.
I personaggi sono di ogni ceto: re, principi, duchi, categorie di ogni classe sociale, si parla di amore, di
ambizione, di potere, ma anche di conflitti specie tra padri e figlie, come in Romeo e Giulietta, dove la
ragazza quattordicenne si oppone al padre che le impone di sposare Paride, un uomo che lei non ama
essendo innamorata di Romeo, di una famiglia nemica: il padre la insulta, l’attacca verbalmente, ma
lei è disposta a tutto per amore, anche a morire.
E che dire del genio di Shakespeare che, essendo quello in cui visse un periodo in cui la lingua inglese
era in piena evoluzione, modellò la lingua secondo le sue necessità, inventando parole nuove laddove
non riusciva a trovare quella che esprimesse al momento il suo concetto?
Parole o frasi che sono entrate nell’inglese quotidiano, per esempio, da Il Mercante di Venezia c’è il
detto “non è tutto oro quel che luccica”, o “l’amore è cieco” quando l’amore è illogico e irrazionale,
oppure “era greco per me” (modo di dire che quella frase era incomprensibile, tratta da Giulio Cesare),
e “vanished into thin air” da La Tempesta, per dire qualcosa sparito nel nulla.
Ma vorrei anche ricordare l’altra versione, quella che dice che William Shakespeare non fosse
veramente inglese ma italiano, della stranezza che non ci siano ritratti dell’autore se non di artisti che
non lo avevano mai conosciuto: alcuni studiosi dicono che forse è del 1610 l’unico dipinto “dal vero”
del poeta inglese.
C’è chi dice che, analizzando la sua firma, William Shakespeare non sapesse neppure leggere e
scrivere e che fu solo un prestanome: sono passati quattro secoli dalla sua morte e ancora oggi di
misteri ce ne sono tanti, anche perché ci sono pochissimi suoi documenti; nel 1903 lo scrittore Henry
James definì Shakespeare “la più grande e più riuscita frode che sia mai stata realizzata nei confronti
di un mondo paziente”.
Un altro critico letterario settecentesco, George Steevens disse di lui: “Nacque a Stratford-upon-Avon,
si fece là una famiglia, andò a Londra, fece l’attore e lo scrittore, tornò a Stratford, fece testamento e
morì”, il resto solo ipotesi.
C’è chi parla di lui come di un rozzo commerciante che comprava grano durante le carestie per
rivenderlo a caro prezzo, che fosse un usuraio e un evasore fiscale e che non fosse un filantropo, non
avendo nominato nel suo testamento alcun patrimonio librario né parlato delle sue opere, ma facendo
riferimento solo a beni materiali, addirittura quando destina alla moglie Anne Hathaway il secondo
letto con il mobilio…
Si dice poi che quando la coppia si sposò nel 1582 Anne (di 8 anni più grande di William) era già incinta
della primogenita Susannah e che fosse un matrimonio riparatore e che dopo la nascita dei due
gemelli, nel 1585, Shakespeare lasciò Stratford per sfuggire al processo intentatogli da un signorotto
che lo aveva sorpreso a cacciare di frodo nella sua proprietà: questi sono gli anni perduti,
Shakespeare sparisce, non si sa più nulla, forse nel 1587 comincia la sua carriera da attore, oppure va
a farsi una cultura; nel XVIII secolo Robert Shiels scrisse che a Londra viveva ridotto sul lastrico e che
si prendesse cura dei cavalli dei gentiluomini che si recavano a teatro ma anche che alcuni attori lo
avrebbero raccomandato ai gestori del teatro avendo sentito la sua parlantina e giudicandolo quindi
capace di calcare le scene e di ottenere la fama non solo come scrittore ma anche come attore.
Ma se fosse effettivamente rimasto a Londra fino al 1613, perché non tenne mai un rapporto epistolare
con nessuno dei suoi colleghi e perché nessuno scrisse un elogio funebre alla sua morte?
C’è chi ha intravisto dietro i suoi scritti altri autori, come il filosofo Francis Bacon, lo scrittore
Christopher Marlowe, Edward de Vere Conte di Oxford, la Contessa Mary Sidney di Pembroke (sorella
del poeta Philip), addirittura la regina Elisabetta, tutti inglesi, tranne l’ultimo e al momento il più
gettonato: John Florio, letterato di origini italiane, docente a Oxford e con incarichi prestigiosi presso
la corte della regina d’Inghilterra, avrebbe trovato appunti, racconti e testi vari e avrebbe dato vita alle
opere attribuite a Shakespeare che sarebbe stato solo un prestanome, John Florio non poteva esporsi
più di tanto sia per il ruolo che rivestiva alla corte e sia per il padre che era un uomo di chiesa.
La cosa strana e che lascia ancor di più un’ombra di mistero è che gli eredi di John Florio si rifiutano di
aprire le porte della loro biblioteca agli studiosi: forse per continuare a difendere il falso mito letterario
del Dante d’Inghilterra?
Ma queste lasciamole solo come ipotesi, per noi rimane Sir William Shakespeare, il Bardo, l’uomo
avvolto nel mistero dalle cui opere hanno tratto film, opere liriche e ancora rappresentazioni teatrali in
tutto il mondo.
Aprile 2024 © Maria Teresa Protto
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