EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Bandiera gialla, quando la radio scoprì il ritmo dei giovani

Nel 1965 la radio scoprì i giovani, e Bandiera gialla accese il ritmo della rivoluzione beat in Italia

Bandiera gialla, quando la radio scoprì il ritmo dei giovani

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Gianni Boncompagni e Renzo Arbore portarono il beat in Rai con Bandiera gialla, la radio che fece ballare una generazione

Anticipata dal suono di un allarme e introdotta dalla travolgente sigla T Bird di Rocky Roberts, il 16 ottobre 1965 alle 17.40 nacque qualcosa di nuovo: Bandiera gialla. Per la prima volta, sul Secondo programma della Rai, la musica parlava apertamente ai giovani, anzi, come disse Gianni Boncompagni con tono deciso, “un programma rigorosamente riservato ai giovanissimi. Ripeto: ai giovanissimi.” Al suo fianco, Renzo Arbore, complici di una rivoluzione che partì dal suono e arrivò al costume.

Il vento del beat

Siamo nel pieno degli anni Sessanta e l’Italia viene travolta dall’ondata beat, quella che importava nel nostro Paese le sonorità dei Beatles, dei Rolling Stones e di un nuovo modo di intendere la musica e la libertà. Fino ad allora le canzoni “urlate” erano state considerate una minaccia alla tradizione melodica, ma il mondo stava cambiando. Il Piper Club di Roma diventava il simbolo di una nuova generazione che ballava, urlava, si riconosceva in un linguaggio comune, spesso in inglese.

Una sfida per la radio pubblica

Per la Rai si apriva una sfida epocale. L’avvento della modulazione di frequenza e delle radio “pirata” – come Radio Caroline o Radio Luxembourg – aveva trasformato il modo di ascoltare la musica. I giovani avevano ormai le loro radioline a transistor e potevano scegliere cosa sentire, lontani dai gusti dei genitori. Era il segnale che la radio di Stato doveva cambiare pelle, per non restare indietro rispetto alla rivoluzione sonora in atto.

Una bandiera tra innovazione e prudenza

Bandiera gialla rappresentò una svolta: il primo tentativo della Rai di entrare nel mondo giovanile senza paura, ma con una certa cautela. Il titolo stesso, preso dal simbolo del contagio, era un’ironica ammissione: la musica beat era “infettiva”, esplosiva, e non tutti erano pronti a lasciarsene contagiare. Eppure, quella trasmissione aprì uno spazio nuovo, un sabato pomeriggio di libertà e ritmo, in cui il linguaggio giovanile si affacciava per la prima volta alla radio ufficiale.

Una gara che faceva ballare

Il meccanismo era semplice ma efficace: dodici canzoni, quattro gruppi, una votazione e un vincitore, il “disco giallo” della settimana. Ogni sabato, otto novità e quattro successi recenti animavano una competizione che univa intrattenimento e promozione discografica. I giovani in studio – spesso figli di dipendenti Rai o frequentatori del Piper – decretavano i vincitori tra grida, applausi e soprattutto balli. Non importavano i testi, spesso in inglese, ma il ritmo, la ballabilità, il suono elettrico delle chitarre e dei tamburi.

Il suono del cambiamento

Quello che davvero segnò un’epoca fu il clima. Bandiera gialla non era solo una trasmissione: era un’esperienza acustica collettiva. Si sentivano le voci del pubblico, il rumore dei passi, l’energia del ballo. La radio diventava uno spazio di partecipazione, un luogo dove i giovani potevano riconoscersi. Nasceva una nuova forma di danza: lo shake, libero, individuale, spontaneo, preludio alla cultura del movimento che avrebbe dominato i decenni successivi.

L’eredità di un contagio positivo

Il successo della trasmissione andò ben oltre la musica. Bandiera gialla divenne un simbolo generazionale, un rito laico che raccontava il bisogno di cambiamento e di identità. Attraverso la radio, i ragazzi italiani si sentivano parte di un mondo più grande, connesso, globale. Quel sabato pomeriggio del 1965 segnò l’inizio di una nuova era della comunicazione: la radio non era più solo un mezzo, ma una comunità sonora in movimento.


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