EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

I Rioni di Roma (seconda parte)

Le 22 “regiones” di Roma

I Rioni di Roma (seconda parte)

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Parione

Riprendiamo il nostro viaggio con il VI Rione di Roma, Parione, il cui stemma è un Grifo, creatura
mitologica greca con la testa d’aquila ed il corpo di leone, emblema di fierezza e nobiltà, su sfondo
bianco.

Il nome potrebbe derivare dalla parola medievale pariones per indicare le “rovine”, termine derivante a
sua volta dal latino paries che significa “parete, muro” (chiamato dal popolo Parietone, da cui il nome
accorciato Parione), per la presenza di un muro antico di dimensioni enormi, forse appartenente allo
Stadio di Domiziano, oppure al favoloso Palazzo del Prefetto dell’Urbe, Cromaziano, indicato dalle
Mirabilia Romae come il Templum Olovitreum, un palazzo altissimo fatto di mosaici, cristalli e oro,
ornato da un’astronomia con i segni del cielo.

Alla superstite muraglia si appoggiava una torre medievale ricordata con il nome di “Torre Parione de
Campo”: essa si trovava nei pressi del Circo Agonale, nel breve tratto tra San Tommaso in Parione e la
Piazza di Pasquino.

Il Rione accoglie due tra le più rinomate piazze di Roma: Piazza Navona, che sorge sull’antico Stadio di
Domiziano e ne ricalca la forma ovale, allungata e regolare, teatro di mitiche feste in un incomparabile
scenario barocco, e Campo de’ Fiori, che è al confine con il Rione Regola, simbolo di un mestiere,
quello del fioraio, come tanti altri mestieri o attività commerciali che caratterizzano Parione e rimasti
legati ai nomi delle vie, come Via dei Cappellari, Via dei Chiavari, Via dei Baullari, Via dei Canestrari,
Via dei Leutari e Largo dei Librari.

La piazza, luogo di giochi e divertimenti pubblici come la riffa, la cuccagna, la tombola, oltre che di
spettacoli teatrali, giostre ed esibizioni di funamboli, fu anche il luogo di residenza di Donna Olimpia
Maidalchini, soprannominata Pimpaccia, che qui viveva a Palazzo Pamphili: donna geniale,
autoritaria, avida e crudele, seppe manipolare i potenti per il suo tornaconto personale e per
arricchirsi a dismisura con i loro beni e si dice che il suo fantasma veniva visto fuggire su una carrozza
nera in fiamme stracolma di tutto l’oro accumulato in vita e che i cavalli, alla fine di una corsa
frenetica, si gettavano nel Tevere con la carrozza, la Pimpaccia e tutti i suoi tesori.

Tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘500, in questo Rione nacque una sorta di Street Art ante
litteram: le famiglie aristocratiche romane erano solite rappresentare il loro prestigio nobiliare con le
decorazioni eseguite a graffito e affresco sulle facciate dei loro palazzi dagli artisti più in voga
all’epoca.

Tra questi: Polidoro da Caravaggio, Maturino da Firenze, Daniele da Volterra, e persino Raffaello.
I soggetti erano spesso le storie del mondo antico e della mitologia classica: nonostante il passare del
tempo ne abbia cancellate molte, alcune ancora sopravvivono.

Regola

Regola è il VII Rione: il nome deriva da Arenula (a cui è intitolata la via omonima) o Renula, ovvero da
quella rena (sabbia) soffice che ancora oggi il Tevere deposita durante le piene, divenuta poi Reola e
quindi Regola; lo stemma è un cervo d’oro rampante in campo turchino, di cui non si sa l’origine.
Anticamente, quest’area faceva parte del Campo Marzio e ospitava il Trigarium, un ippodromo (situato
approssimativamente all’altezza di Via Giulia, parallelo al Tevere) dedicato alle trighe, ovvero i carri
trainati da tre cavalli su cui si allenavano gli aurighi, come narra anche Plinio, in vista di qualche
competizione o esibizione nel vicino Stadio di Domiziano.

Un’antica strada attraversava tutto il Rione collegando il Ponte Elio al Teatro di Marcello, con un
percorso chiamato Via Tecta che comprendeva Via del Portico di Ottavia, Via di Santa Maria del Pianto,
Via dei Giubbonari, Via dei Cappellari, Via dei Banchi Vecchi e Via del Banco di Santo Spirito.

Nel corso del Medioevo Regola, a causa di una nuova suddivisione della città, entrò a far parte della IV
regiones, poi, nel 1586, con la fondazione di Borgo da parte di Papa Sisto V, il Rione entrò nel VII con il
nome di Arenule et Chacabariorum (dal latino cacabus, per via delle botteghe in cui si fabbricavano
catini e vasi di rame).

Feudo dei Savelli, il Rione, fin dall’alto Medioevo, era una zona di mugnai, tintori, cordai, macellai e
conciatori, vista la vicinanza del Tevere, dove venivano appunto conciate le pelli della vaccina,
operazione che ovviamente seguiva la mattazione della bestia: questo è il motivo per cui la tradizione
vuole che la famosa “coda alla vaccinara”, uno dei piatti tipici della gastronomia capitolina, sia nata
proprio in questo Rione.

Il Rione, con la costruzione dei muraglioni del Tevere e l’apertura dell’arteria che collegò Largo di Torre
Argentina al Ponte Garibaldi, ovvero Via Arenula, subì importanti modifiche e distruzioni rispetto al suo
aspetto medievale: sparirono la Chiesa di Santa Maria degli Angeli in Cacabaris e parte della Via delle
Zoccolette, ma soprattutto tutta la zona che si affacciava sul fiume, come il famoso Palazzo dei
Centopreti.

Essendo il Rione ricco di edifici di ogni genere, compresi ospedali e prigioni, possiamo citare, tra le
opere di maggiore interesse, Palazzo Cenci, legato alla triste vicenda umana di Beatrice Cenci e della
sua famiglia, Palazzo e Galleria Spada con la sorprendente finta prospettiva di Borromini, Via de’
Giubbonari, una tra le più amate vie dello shopping di Roma, Via Giulia e per finire il suo fiore
all’occhiello, diviso anche con il Rione Parione: Campo de’ Fiori, con lo storico e caratteristico
mercato, dominato dall’imponenza di Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata di Francia, e dallo
sguardo vigile della statua di Giordano Bruno, che qui fu arso vivo nel 1600.

Qui nacquero o vissero diversi personaggi che hanno fatto la storia della città e addirittura del Paese,
come Cola di Rienzo, tribuno di Roma ma figlio di mugnai e tavernieri, vissuto nel Trecento,
oppure Benedetto Cairoli, l’eroe risorgimentale che abitò al civico 113 della piazza a lui poi dedicata.
Nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, sull’omonima piazza, invece, operò “Pippo bbono”,
cioè San Filippo Neri, che dedicò la sua vita all’evangelizzazione della città e ai ragazzi e alle ragazze di
strada che nel suo oratorio cantavano e giocavano in armonia (il regista Giacomo Campiotti girò su di
lui il film del 2010 Preferisco il Paradiso, mirabilmente interpretato da Luigi Proietti).

Fu, infine, nell’adiacente Ospizio dei Convalescenti e Pellegrini che morì nel 1849 Goffredo Mameli,
autore dell’inno d’Italia e soldato valoroso, a causa delle ferite riportate nella strenua difesa della
Repubblica Romana.

Sant’Eustachio

Sant’Eustachio è l’VIII Rione, con lo stemma formato dalla testa di un cervo con il busto di Gesù o
una croce sul capo in oro su sfondo rosso.
La sua posizione, tra il Pantheon e Piazza Navona, ne ha fatto una delle mete preferite dai turisti di
tutto il mondo.

Qui possiamo trovare hotel di lusso ad un passo dai monumenti più importanti, trattorie tipiche in cui
poter godere i piatti della più gustosa cucina tradizionale romana, numerosi bar e caffè accoglienti
dove prendersi una veloce pausa dallo shopping o dalle visite culturali.

Tra i luoghi di maggiore interesse artistico e religioso, troviamo Palazzo Madama, sede del Senato della
Repubblica e opera di Giuliano da Sangallo, la Chiesa di San Luigi de’ Francesi, con la Cappella
Contarelli in cui sono conservate le tre Tele con San Matteo del Caravaggio e, ancora, la Basilica di
Sant’Eustachio, sormontata dalla testa di un cervo, emblema del Rione e rappresentazione del Santo,
uno dei primi edifici rinascimentali di Roma.

Ancora, abbiamo la bellissima Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, dove ammirare la Madonna
dei Pellegrini di Caravaggio, la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, gioiello dell’architettura barocca con
la sua ardita lanterna cuspidata a spirale, opera del genio di Borromini, e la monumentale Basilica di
Sant’Andrea della Valle con la bellissima cupola.

Qui, tra il Pantheon e lo Stadio di Domiziano, si trovavano le imponenti Terme di Nerone (62 d.C.), che
coprivano un’area di circa 190 x 120 metri, ma di cui oggi rimangono solo due colonne di granito rosa
delle 150 che le ornavano (si possono ammirare sul lato destro della chiesa di Sant’Eustachio) ma che
da sole bastano a dare l’idea della grandiosità del luogo.

Il cuore del Rione è la piazza omonima che, oltre alla chiesa, ospita uno dei bar più conosciuti di
Roma, il Sant’Eustachio, un luogo caratteristico dove gustare uno dei migliori caffè espresso di Roma.
In Via degli Staderari si trova una delle fontane rionali più originali in città, la Fontana dei Libri, in
riferimento all’antico Palazzo della Sapienza, sede dell’Università, poi trasferita nel quartiere di San
Lorenzo: la Fontana presenta la famosa testa di cervo, emblema del Rione, e quattro tomi antichi da
cui sgorga l’acqua a simboleggiare il sapere che fluisce senza sosta dalla grandezza dei libri.
Sul lato sinistro della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, invece, vi potete imbattere in una delle
sei statue parlanti di Roma, l’Abate Luigi che, come il più noto Pasquino, con le sue spesso violente
invettive colpiva e cercava di riportare all’ordine i personaggi pubblici della Roma del XIV e XV secolo.
Poco più in là, al numero 13 di via dei Redentoristi, una targa ci ricorda che proprio in quel palazzo
nacque il celebre poeta dialettale Giuseppe Gioacchino Belli.

Pigna

Arriviamo al IX Rione, Pigna: lo stemma ha ovviamente una pigna d’oro in campo rosso, poiché nel
Rione venne ritrovata una gigantesca scultura bronzea a forma di pigna (la Pigna Bronzea, oggi nel
cortile omonimo in Vaticano) che sembra fosse posta come fontana nel mezzo dell’Iseo Campense,
ma secondo altri, più verosimilmente, era la fontana ornamentale nelle Terme di Agrippa, spiegazione
cronologicamente non accettabile, poiché alla metà del XII secolo la “pigna” era già in Vaticano,
ovvero quando il Rione non aveva ancora preso tale nome.

Anche Dante vi fece riferimento nella Divina Commedia parlando di Nembrotte nel XXXI Canto
dell’Inferno: “La faccia sua mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma”.

Un’altra spiegazione, forse più plausibile, è che il termine provenga dalla “Vigna Tedemari”, un’estesa
proprietà di un tal Tedemaro, nipote dell’abate Campone di Farfa: la proprietà occupava buona parte
del Rione, sia quando era regiones sia nella ripartizione trecentesca: in parecchi documenti dell’epoca
è detta semplicemente “Regione della Vigna” o “Vigna”, quindi, per corruzione, da “vigna” a “pigna” il
passo è breve.

In epoca romana si estendeva in questa zona la “Villa Pubblica”, circondata da portici, un luogo
destinato ad operazioni pubbliche quali il censimento, la leva ed i lussuosi ricevimenti degli
ambasciatori.

Tra la Piazza di Sant’Ignazio e la Chiesa della Minerva sorgeva un tempio di stile egizio dedicato alle
divinità di Iside e Serapide, l’Iseo Campense, testimonianza di come Roma accettasse ogni genere di
culto e religione fossero praticati nel suo impero.

Da questo tempio provengono i leoni in basalto, durissimo marmo etiopico, che nel ‘500 vennero
collocati a decorare la Fontana del Mosè, gli altri due leoni che si trovano ai piedi della Cordonata, la
Statua del Nilo che si trova nel Museo Chiaramonti in Vaticano e quella del Tevere che è al Louvre.

A questi vanno aggiunti gli obelischi di Villa Mattei, di Piazza della Rotonda, di Piazza Navona e quello
che si trova in Via delle Terme di Diocleziano.

Tra i monumenti, i siti archeologici e gli edifici di culto più importanti del Rione possiamo nominare:
Palazzo Bonaparte, dimora di Maria Letizia Ramolino, madre dell’Imperatore francese Napoleone
Bonaparte, che vi dimorò fino alla morte nel 1836; Palazzo Doria Pamphili, con la Galleria che ospita
dipinti di Raffaello, Tiziano, Domenichino, Parmigianino e Caravaggio; Palazzo Venezia, con il suo
omonimo museo nazionale; Palazzo San Macuto, edificio del ‘500 che sorge sui resti del Tempio di
Minerva e del tempio egizio dedicato a Iside; la Chiesa del Gesù, opera di Jacopo Barozzi da Vignola,
Giacomo Della Porta e Michelangelo Buonarroti; Piazza della Minerva e il delizioso Pulcino (in realtà è
un elefante), opera controversa di Bernini; per finire, la Chiesa di Sant’Ignazio da Loyola dedicata al
fondatore della Compagnia di Gesù, con gli stupendi affreschi prospettici di Andrea Pozzo.

Ma il “gioiello” della Roma antica e una delle maggiori attrazioni turistiche della città, è il Pantheon: “Il
più bel resto dell’antichità romana. Un tempio che ha così poco sofferto che ci appare come dovettero
vederlo alla loro epoca i Romani”, come scrisse Stendhal nelle sue Passeggiate romane.

Meta prediletta dai romani e dai turisti, che amano fermarsi ad ammirarlo seduti in uno dei caffè sulla
piazza antistante, il celebre monumento ospita, oltre alla tomba di Raffaello Sanzio, che qui riposa dal
1520, anno della morte, anche quella del pittore Annibale Carracci, dell’architetto Baldassarre
Peruzzi, del musicista Arcangelo Corelli e le tombe dei due primi re d’Italia, Vittorio Emanuele II e suo
figlio Umberto I.

Tra il Settecento e l’Ottocento, molti artisti, per vanità, vollero far collocare il loro busto in marmo
accanto alla tomba dell’Urbinate: uno scandalo enorme che costrinse Papa Leone XII, nel 1834, a
rimuoverli tutti e a farli spostare nel Palazzo Senatorio in Campidoglio, nella Sala della
Protomoteca creata per l’occasione all’interno del palazzo sede degli uffici del Sindaco di Roma.

Oggi, a testimonianza del Rione, è presente una piccola fontana a forma di pigna in travertino in Piazza
San Marco.

Campitelli

Il X Rione è Campitelli: è il Rione meno popolato di Roma, poiché l’area è ricca di siti istituzionali,
archeologici e museali (oltre il 60% della sua superficie), e quindi con poco spazio per edifici
residenziali.

Lo stemma del Rione è rappresentato da una testa di drago nera su campo bianco: una leggenda
medievale narra che il diavolo avesse assunto le sembianze del drago infestando il Tempio di Castore
e Polluce nel Foro Romano e che Papa Silvestro I lo abbia affrontato e cacciato.
Il nome viene da Capitolium, luogo in cui sorgeva il tempio più importante di Roma antica, quello
della triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva, ma c’è chi dice che derivi dall’Aedes Telluris, cioè il
Tempio della Dea Terra che doveva sorgere in questa zona, oppure potrebbe derivare da “campus
telluris”, cioè “campo o piazza di terra”, ovvero “sterrata”.

Una leggenda narra che proprio sotto al tempio dovrebbe trovarsi un tesoro inestimabile, ma fino ad
oggi, nonostante le ricerche e le demolizioni che hanno interessato l’area, nessuno l’ha mai rinvenuto.
Ogni anno centinaia di migliaia di turisti convergono qui per visitare, tra gli altri, il Foro Romano, l’area
archeologica centro politico, giuridico, religioso ed economico dell’antica Roma di cui possiamo
ancora ammirare i resti degli antichi templi e degli edifici civici, Piazza del Campidoglio, progettata da
Michelangelo che ospita il Palazzo Senatorio, sede del Sindaco di Roma, il Palazzo dei
Conservatori, Palazzo Nuovo, che insieme costituiscono il nucleo principale dei Musei Capitolini, il
museo pubblico più antico del mondo, fondato nel 1471 da Sisto IV, il bianchissimo monumento a
Vittorio Emanuele II, il Vittoriano, spesso irriverentemente paragonato ad una macchina da scrivere o,
addirittura, ad una torta nuziale, Piazza Margana, gioiello della Roma medievale, l’ampia Via di San
Gregorio che collega il Colosseo con il Circo Massimo e poi ancora Via dei Fori Imperiali, una delle più
scenografiche strade di Roma ai cui lati si trovano i resti monumentali dei Fori di Cesare, di Augusto, di
Nerva, della Pace e di Traiano.

Sul lato meridionale del Colle si trova la Rupe Tarpea, la parete rocciosa da cui venivano gettati nel
sottostante Foro Romano i condannati a morte della Roma antica.

Il Carcere Mamertino, o Tullianum, situato al Clivo Argentario, all’interno del Foro Romano, è la più
antica prigione di Roma: costruito dal Re Anco Marzio nel VII secolo a.C., qui, secondo la tradizione, gli
apostoli Pietro e Paolo furono rinchiusi prima di subire il martirio.

Nel Carcere, altri personaggi illustri furono giustiziati per strangolamento o decapitazione: tra i più
noti, ricordiamo Giugurta, re della Numidia, nel 104 a.C., e nel 46 a.C. Vercingetorige, re dei Galli.
Addossata al lato est del Vittoriano, invece, proprio alla base della scalinata dell’Ara Coeli, si trova
l’Insula dell’Ara Coeli, ovvero un antico condominio romano costituito da case che i cittadini, a
differenza delle domus (solo di proprietà), potevano prendere in affitto.

Vista l’esigenza di alloggi per la popolazione in crescita e la carenza di terreni edificabili, queste si
sviluppavano in altezza e qui, in particolare, si svilupparono almeno in cinque piani.

Le grandi arcate del portico ospitavano botteghe e laboratori, mentre sui tre livelli superiori,
originariamente divisi in piccoli appartamenti, trovavano alloggio circa 380 persone.

Anche questo Rione, per la costruzione del Vittoriano e di Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali),
ha visto sparire una buona fetta di Roma antica, come Via di Marforio, Via di Testa Spaccata, così detta
per una testa di marmo posta sul muro di una casa e deformata da una profonda spaccatura, San
Lorenzo de Ascesa, Via delle Chiavi d’Oro, Vicolo delle Marmorelle, Via del Sole, Via in Miranda, Via
della Salara Vecchia, nome dovuto al fatto che veniva percorsa dai carri che si recavano a caricare il
sale nella salara capitolina, Via Alessandrina, Piazza delle Carrette e perfino una collinetta, la Velia.

(fine seconda parte)


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Dicembre 2024 © Maria Teresa Protto

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