EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
Come pensare che una città grande come Roma non abbia tante storie e leggende da raccontare?
Va bene che Roma è “piena di buche”, per cui bisogna sempre vedere dove mettere i piedi, ma è anche
vero che basta alzare gli occhi e vedere qualcosa “di strano”, su palazzi, chiese o sculture, come già in
altri articoli raccontato.
Cominciamo da Piazza di Sant’Eustachio, un tempo meta la sera del famoso bar in cui si diceva era
possibile gustare il migliore caffè di Roma: sulla sommità dell’omonima Chiesa, al posto della croce
che sovrasta tutte le chiese del mondo, si vede la testa di un cervo su cui è posata la croce.
La leggenda narra che Sant’Eustachio, il cui vero nome era Placido, morto martire a Roma intorno
all’anno 130 d.C., era un soldato romano che un giorno, andando a caccia, vide un branco di cervi ed
in particolare ne vide uno bellissimo, a cui si avvicinò per abbatterlo.
Con sua grande sorpresa, vide che l’animale aveva tra le corna un crocifisso, e il Cristo gli si rivolse
spiegando che era lì per salvarlo.
La moglie la notte prima aveva fatto un sogno simile, motivo per cui, di fronte a questi eventi
miracolosi, tutta la famiglia decise di battezzarsi.
Il giorno dopo Placido (che con la conversione aveva assunto appunto il nome di Eustachio o Eustazio,
che significa “costante”) tornò sul luogo dove aveva visto il Cristo, che di nuovo gli parlò,
annunciandogli che lo avrebbe messo alla prova ma che non l’avrebbe mai abbandonato.
Dopo qualche giorno, scoppiò la peste: Eustachio perse il gregge e la sua casa venne saccheggiata, e
così decise di partire con la sua famiglia per l’Egitto: sulla barca, il proprietario trattenne la moglie del
Santo come pagamento del traghettamento, e proseguì quindi con i due figli che furono catturati il
primo da un leone e il secondo da un lupo.
La famiglia poté riunirsi solo dopo qualche anno: la moglie era stata rispettata dal proprietario della
barca ed i bambini erano stati salvati dagli abitanti di un villaggio.
Poiché rifiutarono di adorare gli idoli, Sant’Eustachio e la sua famiglia furono martirizzati sotto
l’Imperatore Adriano, sembra il 20 settembre, giorno in cui si festeggia il Santo.
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Tra Via Sistina e Via Gregoriana, su Piazza Trinità dei Monti, ci sta un palazzo conosciuto come la Casa
dei Mostri per via delle decorazioni delle porte e delle finestre che si affacciano su Via Gregoriana e
che si ispirano ai mostri del Parco di Bomarzo.
È Palazzetto Zuccari, che fu fatto costruire da Federico Zuccari, pittore e critico d’arte di origine
urbinate, che aveva lavorato a Roma e a Firenze (suoi gli affreschi nella Cupola di Santa Maria del
Fiore) e che qui si trasferì alla fine del 1500 lasciando l’omonimo Palazzo di Firenze.
Con il passare del tempo, dopo la morte di Federico Zuccari, la struttura passò sotto diversi
proprietari, subendo varie modifiche. Fu alzato di due piani, sotto la Regina di Polonia venne costruito
un portico a sei colonne lungo la facciata, ma per anni continuò ad essere un punto di riferimento per
artisti. Fino al 1756, quando il Palazzo venne ceduto alle suore cristiane che qui fecero una scuola.
Nel 1904 Palazzo Zuccari venne acquistato da Henriette Hertz che al posto del giardino fece costruire
un edifico a tre piani.
Alla sua morte la Hertz lasciò allo Stato italiano la raccolta di quadri, che fu riunita al Museo di Palazzo
Venezia, mentre dispose che l’edificio e la Biblioteca Hertziana, specializzata in storia dell’arte, che
sorse successivamente, andassero al governo tedesco per istituire un centro di studi.
La biblioteca è tutt’ora in funzione ed è stata ampliata nel 1963 dalla Società Max Planck, che ha
acquistato l’attiguo palazzetto Stroganof.
Zuccari volle realizzare una costruzione sui resti degli antichi giardini di Lucullo, che rispecchiasse la
sua fama, il suo estro e la sua creatività più della sua precedente abitazione: bocche spalancate e
spaventose sulle porte e sulle finestre della sua residenza, legate allo stile fantasioso dell’architettura
manierista in auge in quel periodo, resero il suo palazzo unico anche negli anni a venire.
Il portone è, senza dubbio, quello che inquieta di più: una bocca enorme, naso arricciato, occhi
spalancati, sopracciglia aggrottate. Chi vi entra ha l’impressione di oltrepassare la porta dell’inferno,
tra stupore e spavento.
I tre mascheroni su via Gregoriana formano tuttora una delle maggiori attrattive del Palazzo.
Per Zuccari, che anni prima aveva usato una forma analoga per una illustrazione della porta
dell’Inferno dantesco, essi avevano un chiaro significato: erano destinati a sbalordire e spaventare il
visitatore, che avrebbe esitato dapprima ad oltrepassare la soglia, ma sarebbe stato poi tanto più
colpito, per contrasto, dall’incanto paradisiaco del giardino.
Il fascino di questa abitazione risultò congeniale alla sensibilità di Gabriele D’Annunzio, che frequentò
il salotto della Hertz e l’immortalò nel romanzo Il Piacere nel 1905.
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Nel quartiere di Monteverde Vecchio, esattamente in Via di San Caledopio (un martire cristiano vissuto
sotto l’Imperatore Alessandro Severo, titolare di una catacomba sull’Aurelia e della tomba in S. Maria
in Trastevere nella quale riposano i suoi resti mortali), strada che collega via dei Quattro Venti con Villa
Pamphili, si racconta di una casa disabitata, ormai completamente ricoperta di piante rampicanti,
conosciuta come la Casa dei Fantasmi.
La leggenda racconta che la villa, un tempo splendida e rinomata per le grandiose feste che vi si
tenevano, appartenesse al Marchese Luca De Marchettis, un personaggio che si dice essere vissuto
nel ‘700, anche se molti affermano non essere mai esistito: era un uomo molto bello, raffinato, che
amava prendere parte in incognito alle feste popolari romane di Trastevere e dei quartieri al centro di
Roma.
Lo potremmo paragonare ad un Barbablù: durante i balli, avvicinava le ragazze più giovani e belle, le
corteggiava inducendole con menzogne ad accompagnarlo nella sua villa a Monteverde, e le ragazze,
a cui prometteva il fidanzamento e un successivo matrimonio, lo seguivano credendo ingenuamente
di accasarsi con un bellissimo e ricco gentiluomo.
Ma appena arrivati alla villa, le ragazze subivano violenze e inenarrabili giochi erotici e infine venivano
stuprate e uccise.
I cadaveri venivano fatti sparire attraverso un passaggio segreto che sbucava nei boschi che a
quell’epoca coprivano i dintorni e in cui si trovavano le tombe dei martiri cristiani.
Non riuscendo più a fermare la sua mania omicida, il Marchese cominciò a pensare di essere
posseduto dal demonio, fino a chiamare un sacerdote esorcista.
Le sedute però furono un fallimento e ormai certo di non avere più speranze, al Marchese non rimase
che lanciarsi da una finestra lasciata aperta.
I servi presenti alla scena e lo stesso esorcista udirono il grido minaccioso del Marchese mentre
toccava il suolo: “Tornerò!”.
E ora da tre secoli, la leggenda diffusasi tra i romani è che ogni anno il Marchese si manifesti all’interno
della sua villa, con la luce che si accende e si spegne ad intermittenza, e c’è chi evita di passare di
sera tra i vicoli di Colle Oppio per non incontrare un uomo avvolto in un mantello alla ricerca di
qualche bella fanciulla con cui avere un’avventura, per poi tornare nella sua villa a Monteverde per
lanciarsi nuovamente dalla finestra e gridare “Tornerò!” un’altra volta.
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Sull’Isola Tiberina, allo sbocco del Ponte dei Quattro Capi, detto anche Ponte Fabricio, c’è la Torre dei
Caetani, detta la Torre della Pulzella per via della scultura del volto femminile inserita all’interno della
Torre medievale.
La leggenda narra che quella testa appartenesse ad una nobildonna del 1350 che, non volendo
sposarsi con un ricco nobile molto più vecchio di lei, si rifugiò nella torre e vi si rinchiuse in attesa che
il suo vero grande amore, un cavaliere partito per una guerra da cui non fece mai ritorno, tornasse: la
fanciulla è ancora lì, ignara del tempo trascorso, sperando un giorno di vederlo tornare e di
riabbracciarlo.
In realtà, sembra che la testa della donna, una scultura in marmo risalente all’epoca romana,
presente nella Torre Caetani risalirebbe al I secolo d.C.
Documenti del XII secolo dimostrano che la torre appartenne alla famiglia Pierleoni, la quale aveva
fatto dell’Isola Tiberina un’importante fortificazione: nel 1078 trovò rifugio Papa Vittore III, poi Matilde
di Canossa e nel 1088 Papa Urbano II.
Nella seconda metà del XIII secolo, la Torre fu abbattuta dagli Angioini, perché appartenente ai loro
avversari Prefetti di Vico (famiglia a Roma sin dal X secolo), per poi passare alla famiglia Caetani che
ne fece una sontuosa residenza.
Dopo il trasferimento della nobile famiglia nel XVI secolo, dal 1638 il complesso residenziale e la Torre
furono concessi ai Padri Minori Osservanti, che avevano dal 1536 la vicina chiesa di San Bartolomeo
all’Isola. Nel 1876 il primo, il secondo piano e gran parte della Torre divennero di proprietà comunale e
vennero dati in concessione all’Università israelitica.
Ancora oggi colpisce lo “sguardo di pietra” rivolto al ponte, che sembra sfidare chi passa a scoprire
l’identità che si cela dietro l’enigmatico volto eroso dal tempo.
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Infine, avete mai notato i davanzali di Palazzo Montecitorio?
Sull’omonima Piazza, sorge Palazzo Montecitorio, attuale sede della Camera dei deputati, che
nonostante le numerose ristrutturazioni e modifiche è ancora, su questo lato, nella sua forma
originale.
Ai due angoli dell’edificio, vediamo che le ultime tre finestre del primo piano hanno dei davanzali che
sembrano scavati nella roccia, come se emergessero a fatica dalla loro matrice originale.
Se si osserva con più attenzione, dalla pietra grezza si vedono anche spuntare frammenti di foglie e
ramoscelli, come se la pietra fosse viva: sembra un errore o un qualcosa rimasto incompiuto, ma in
realtà fu lo stesso autore a volere quest’opera, ovvero Gian Lorenzo Bernini a cui, nel 1653, Papa
Innocenzo X affidò la costruzione del palazzo che voleva per un suo nipote, Niccolò Ludovisi.
La costruzione, per vari motivi, si interruppe per quasi cinquant’anni, fino a quando Papa Innocenzo XII
affidò il completamento dell’edificio a Carlo Fontana, che era stato allievo del Bernini; egli rispettò lo
spirito barocco dell’immensa facciata convessa e anche delle finestre d’angolo, con l’irruzione di una
natura non domata nell’ordine architettonico.
C’è chi ha voluto leggere questa presenza in chiave politica, intendendo la sottomissione della natura
all’ordine pontificio.
Il tema del travertino che assume un aspetto nuovamente naturale si ritrova in un’altra grande opera
del Bernini: la Fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona, di cui parleremo un’altra volta.
Ed è proprio grazie all’originalità di questa fontana, che incantò Papa Innocenzo X, che al Bernini
venne commissionato il Palazzo di Montecitorio.
Maggio 2024 © Maria Teresa Protto
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