EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
Ci sono persone che non hanno bisogno di clamore per essere ricordate. Beppe Vessicchio era una di queste. Con la sua eleganza discreta e la sua bacchetta gentile, ha diretto non solo orchestre, ma emozioni. È scomparso a Roma, lasciando un vuoto che non riguarda solo il mondo della musica, ma l’intero patrimonio culturale italiano.
Dire “dirige l’orchestra il maestro Vessicchio” era come dire “inizia la magia”. Una frase che è diventata parte del linguaggio comune, un segno di riconoscimento collettivo di un’Italia che si emoziona ancora per l’arte, la bellezza e la musica fatta con il cuore.
Una vita in controtempo, tra rigore e passione
Nato a Napoli nel 1956, Giuseppe Vessicchio è stato un esempio raro di equilibrio tra competenza tecnica e sensibilità poetica.
Arrangiatore, compositore, direttore d’orchestra, insegnante: ha attraversato ogni sfumatura della musica, portando la sua idea di armonia come strumento di dialogo tra linguaggi e generazioni.
Dalla collaborazione con Gino Paoli e Ornella Vanoni alle direzioni per Roberto Vecchioni e Alexia, la sua carriera è stata un mosaico di melodie, storie e incontri. A Sanremo ha vinto quattro volte, ma ciò che contava per lui non erano i premi: era la perfezione di un accordo, la vibrazione autentica di un’orchestra che respira insieme.
Il maestro che univa, non divideva
Nel tempo dell’individualismo, Vessicchio ha ricordato a tutti che la musica è dialogo e ascolto.
Nella sua visione, ogni strumento aveva una voce e ogni voce meritava rispetto. Questo lo ha reso un simbolo di gentilezza professionale e di umanità nel mondo dello spettacolo, dove il rumore spesso copre il silenzio creativo.
Non era solo un direttore: era un mediatore tra note e persone, tra arte e vita. Anche nei programmi televisivi, la sua presenza non era mai invadente, ma armonica: bastava un sorriso, una battuta lieve, un gesto misurato.
L’eredità di un’Italia che sa ascoltare
Con la sua scomparsa, l’Italia perde una voce musicale, ma guadagna un’eredità culturale immensa.
Beppe Vessicchio ha insegnato che la cultura non è un lusso, ma un modo di stare al mondo. Ha dimostrato che la tradizione può convivere con la modernità e che la semplicità, quando è autentica, diventa arte.
Il suo linguaggio era quello della misura, della sensibilità e dell’ironia sottile. E in un’epoca che tende all’eccesso, questa compostezza lo ha reso unico.
Musica e territorio, la lezione del maestro
Vessicchio era profondamente legato alle sue radici partenopee, ma la sua musica parlava a tutta l’Italia.
Ha rappresentato quel ponte invisibile tra territorio e cultura che la Fondazione Premio Antonio Biondi promuove: un legame vivo tra le tradizioni locali e la loro capacità di dialogare con il mondo.
La sua figura ci ricorda che il territorio non è solo geografia, ma memoria condivisa, patrimonio sonoro e umano.
Un addio che suona come un accordo sospeso
Ora che il suo nome si unisce a quelli dei grandi maestri, resta una sensazione dolce e malinconica: quella di un’ultima nota lasciata vibrare nell’aria, senza fretta di spegnersi.
“La musica – diceva – non si dirige, si accompagna”.
E forse è proprio così che continueremo a ricordarlo: come colui che ha accompagnato un intero Paese nel ritmo gentile delle sue emozioni.
08 Novembre 2025 © Redazione PANTAREI Fondazione Premio Antonio Biondi

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